Il 20 luglio ricorre la memoria liturgica di San Lucano, un vescovo del quinto secolo di cui non rimangono documenti contemporanei ma le cui vicende si possono ricostruire assemblando i molti frammenti sparsi tra la storia e la geografia delle nostre vallate. Prima fra tutte la Valle di San Lucano, che da Taibon Agordino risale sulla destra orografica del Cordevole verso le Pale di San Martino. Secondo la tradizione è lì che si ritirò a vivere e morì San Lucano, cui pure la tradizione assegna de sempre il titolo di vescovo di Sabiona, il nome di una città romana scomparsa, che sorgeva nei pressi dell’attuale Bressanone. Lucano non risulta nella lista episcopale bellunese, anche se iul suo corpo, dal IX secolo, riposa nella cattedrale di Belluno.
Una vicenda che ci riporta agli anni di papa Celestino I (422-432), quando l’Italia era ormai ostrogota e si era creata una doppia tensione sociale, tra la maggioranza latina e i nuovi dominatori germanici, ma anche tra ariani e cattolici, una spaccatura profonda che si era creata fin dal IV secolo quando la stessa casa imperiale aveva abbracciato in modo ondivago l’arianesimo, che era invece sostenuto fortemente dalla componente ostrogota, come poi dai Longobardi fino alla conversione di Teodolinda e Agilulfo agli inizi del VII secolo.
Il risultato, come raccontano le cronache fin dai tempi di Ambrogio o le due cattedrali affiancate di Grado, fu che molto spesso si ebbero in contemporanea vescovi cattolici e vescovi ariani, quando la situazione di equilibrio ne consentì la convivenza, mentre in una città come Belluno, piccola e abitata da un forte presidio militare ostrogoto, la cattedrale venne occupata dagli ariani e i vescovi cattolici finirono per essere espulsi, trovando sepoltura solo “extra moenia”, cioè al di fuori del “pomerium” municipale, quindi San Salvatore a Vedana, il vescovo Homininus a Carmegn, il vescovo Felice a Val de Nere di Bolago o due prelati di cui si è perduto il nome nella doppia cripta di San Liberale sopra Cusighe, che aveva l’antico titolo classicamente antiariano di San Daniele.
San Lucano ebbe probabilmente la stessa sorte: espulso dalla sua sede di Sabiona, era stato così combattivo che finì esiliato e dovette cercare rifugio in una zona al di fuori del territorio municipale di Bressanone, finendo per fare base in una valle laterale del Cordevole. Dopo la conversione dei Longobardi al cattolicesimo la prima conseguenza fu la revisione delle liste episcopali, con la cancellazione dei nomi dei vescovi ariani (che è il motivo delle molte lacune della serie episcopale bellunese, con i vescovi cattolici espulsi di cui si erano dimenticate le date di episcopato). Fu allora che in molte città gli antichi vescovi cattolici vennero traslati in cattedrale dalle loro sepolture rurali. Sono rimaste le cronache di Verona, ad esempio, mentre a Belluno tali traslazioni non hanno lasciato tracce documentali, a parte la prova archeologica della doppia camera sepolcrale vuota di San Liberale.
L’ultima, e l’unica documentata, fu proprio quella di San Lucano, che in età carolingia da Taibon venne portato a Belluno, cui l’Agordino apparteneva, dove gli venne costruita una chiesa nel nuovo quartiere a sud della piccola cinta muraria tardoantica, cioè nell’attuale via San Lucano. Un culto voluto dai Canonici per riequilibrare il nuovo culto vescovile di San Joathà, arrivato a Belluno dalla Cirenaica islamizzata intorno al 930. Era il tempo della riconquista delle terre alte e dei valichi alpini, da cui la tradizione leggendaria dell’orso ammansito, come San Romedio a Trento o San Corbiniano a Freising.
San Lucano in quegli anni divenne uno strumento della nuova espansione territoriale dei vescovi di Belluno, che lo posero come “terminus” cultuale ad esempio a Villapiccola di Auronzo o a Paderno di San Gregorio, enclavi nei territori di Aquileia o di Feltre. Il corpo di San Lucano fu quindi nuovamente spostato in cattedrale, divenendo compatrono a fianco di San Joathà, nell’arca delle reliquie bellunesi.
Solo in occasione della ricognizione effettuata negli anni Sessanta del Seicento dal vescovo Giulio Berlendis (1653-93) una reliquia di San Lucano venne donata al duomo di Bressanone, su richiesta del vescovo Antonio Crosini (1647-63), che poté quindi riportare almeno un segno della presenza di San Lucano nella sua antica diocesi di Sabiona-Bressanone.
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