«Vorrei una Chiesa come una cena a casa di amici, in cui sei libero di parlare di quello che vuoi… un luogo in cui stai bene, ti senti a tuo agio, in cui puoi parlare di cose belle, di cose brutte, di cose meno importanti, di cose più importanti, con una naturalezza e con una libertà che solo a casa con gli amici puoi avere». Così descrive la Chiesa una giovane, intervistata da Paola Bignardi sul suo rapporto con la fede e la Chiesa. Evoca un’immagine, come spesso accade nel linguaggio giovanile, per esprimere il desiderio di una Chiesa più vicina, «più territoriale e meno istituzionale», come si esprime un altro intervistato.
A un primo sguardo il rapporto tra i giovani e la Chiesa è simile a quello di due pianeti che orbitano su traiettorie diverse. Possono avvicinarsi e persino sfiorarsi, salvo poi allontanarsi velocemente l’uno dall’altro. Apparentemente le cose sembra stiano così. Ma scavando un po’ sotto la superficie, le cose sono un po’ più complesse, come spesso accade. I giovani che si allontanano dalla Chiesa non lo fanno perché sono diventati tutti atei, ma perché la ritengono troppo distante dalla realtà.
La Chiesa ha dedicato loro molti documenti importanti, molti discorsi, molti eventi (la GMG su tutti), ma nella pratica le cose non sono cambiate. Non sono cambiati i riti, non è cambiata la morale. E loro se ne sono andati. Alcuni sbattendo la porta, perché hanno incontrato molti sguardi giudicanti più che accoglienza; altri silenziosamente, quasi con rassegnazione. Per molti è comune la nostalgia per quelle esperienze che davvero toccavano il cuore e lo cambiavano: «Vorrei una Chiesa più coinvolgente. E magari anche un po’ meno rigida», scrive uno di loro. Per incontrarsi di nuovo, tra giovani e Chiesa, bisognerebbe essere a mani nude, senza voler necessariamente portare o voler offrire qualcosa di materiale all’altro, nemmeno un volantino per invitarli ad un’esperienza estiva o ad un’iniziativa “per giovani”.
Meglio fermarsi e guardarsi semplicemente negli occhi. Ed aprire la mano nuda, un po’ come il cuore. «Semplice. La chiesa che vorrei dovrebbe essere, più che un luogo di insegnamento, un luogo di apprendimento». I giovani hanno sete di autenticità, non di formalità. Hanno bisogno anche di proposte, sì, ma che non abbiano secondi fini, che non tendano ad “incastrarli” con la scusa di “fare un servizio”. Cercano figure significative, adulti credibili. Non necessariamente dei “testimoni”, ma qualcuno disponibile ad ascoltarli senza giudicarli. Proprio come una cena a casa di amici.
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1 commento
Giuseppe
Una Chiesa che cambia o dei giovani che si convertono al Vangelo? Si comprende che se anche fosse possibile modificare la ritualità cristiana per adattarla ai tempi, non sarà così per la morale.