Il 14 maggio 2019 la Regione Veneto approvava con propria deliberazione le Schede sanitarie, ovvero una specie di piano regolatore, con proprie gerarchie funzionali, atto a disegnare e strutturare puntualmente il modello della sanità per ciascuna delle singole ULSS della nostra regione.
Per far meglio comprendere di cosa si tratta, queste schede individuano la scelta di quali ospedali siano HUB (ospedali centrali di riferimento), quali SPOKE (ospedali periferici) e quali quelli di Comunità (ospedali o strutture intermedie tra l’assistenza domiciliare e l’ospedale vero e proprio); le specialità per ogni area funzionale; quali e quante siano le Unità Operative Complesse (UOC) e quelle semplici (UOS); le dotazioni immateriali (personale medico, infermieristico, operatori socio sanitari, ecc.) e le dotazioni materiali e strumentali (elicotteri, auto mediche, ambulanze, ecc.); il numero dei posti letto ed altri importanti parametri quali le reti ospedaliere, ecc. Tutti elementi, questi, che concorrono a disegnare il modello sanitario delle Ulss, quindi anche quello della nostra Ulss 1 Dolomiti, oltre a disegnare la strutturazione su base regionale della sanità.
Al di là del lieve o parziale ridimensionamento registrato a quanto in precedenza previsto, va rilevato che alcuni obiettivi sono stati oggettivamente disattesi. È il caso dell’elisoccorso notturno di Pieve di Cadore, cioè delle prestazioni dell’elicottero rese H24 anche con attività di volo HEMS e HHO (operazioni con verricello e/o gancio baricentrico). Non è un caso che per tutti gli interventi di soccorso in ambiente montano di carattere notturno vengano incessantemente chiamati gli elicotteri di Trento e di Bolzano, mentre altre tipologie (piazzole ospedaliere e non) dall’elicottero di Treviso.
Infatti, c’era la netta previsione riscontrabile nelle suddette Schede” e totale garanzia della Ulss n. 1 che l’elisoccorso notturno H24 sarebbe partito da lì a pochi mesi (con semplice ricerca web vedasi le decine di dichiarazioni effettuate dai vari Direttori generali succedutisi nel corso degli anni). Ciò non è mai in realtà avvenuto. Anzi, senza che nessun Sindaco abbia battuto palpebra, Treviso si è lestamente accaparrato il servizio al posto di Belluno. Ripeto, neanche un sussulto di dignità da parte di chi, in fondo, ci rappresenta anche per tutela i nostri sacrosanti diritti.
Ma andando oltre questa parziale criticità, di per sé evidente agli addetti ai lavori ma anche, purtroppo, agli utenti, in questa sede va rilevato un altro aspetto di natura più generale: è la valutazione sull’inconfutabile immobilismo bellunese.
Difatti, sono passati alcuni anni da quel 2019, un periodo che riteniamo però che sia trascorso invano, poiché nessuno, ad ora, salvo alcune prese di posizione del Comune di Belluno in un recente passato, ha promosso una benché minima attività di monitoraggio e controllo su cosa sia successo e cosa stia succedendo nei nostri ospedali e quale sia il livello quali-quantitativo dei servizi e delle prestazioni erogate ai cittadini.
Precisato a scanso di equivoci che la sanità veneta – ribadirlo fa bene a tutti noi – è senza dubbio tra le migliori del nostro Paese, va altrettanto ammesso che nel bellunese, senza tema di essere smentiti, è qualcosa di innegabilmente diverso dal resto del Veneto: morfologia e rete viaria, dispersione della popolazione, talvolta il maltempo, comandando e condannano spesso l’abitante della montagna a tratte lunghe ed estenuanti verso la città capoluogo e in molti casi verso altre strutture extraprovinciali. Ma non sono gli unici elementi a farne una realtà diversa.
Al proposito, sia sufficiente riflettere con grande serenità d’animo che, di notte, se un cittadino di Davedino (Livinallongo del Col di Lana) o di Valgrande (Comelico Superiore) abbisogna di una prestazione urgente, tempo dipendente (per evitare la morte o per non acuire la possibilità di insorgenza di esiti invalidanti), deve essere di necessità centralizzato su Treviso, così da poter disporre di attività d’eccellenza legate alla neurochirurgia e/o a quelle derivate dal fatto di essere sede, ad esempio, di “trauma center”. Tutte azioni queste che comportano un percorso di ca. 150 km percorribili in oltre due ore, neve e traffico permettendo. Se invece il paziente viene elitrasportato con l’elicottero di Treviso (cosa invero poco frequente come attestante dai dati), il tempo di attesa è di ca. 45’ per la sola tratta di andata… quando invece se fosse attivo l’elisoccorso notturno di Pieve di Cadore, i tempi sarebbero contratti a ca. max 20’ per coprire l’intera provincia (meno della metà), garantendo i certi benefici della famosa golden hour. Ma tant’è!
Cosa è successo in questi anni? Si è assistito da parte della politica locale ad una immotivata ed arbitraria rinuncia a voler comprendere dinamiche e processi legati alla sanità bellunese e, in genere, si è notata una comoda preferenza ad appellarsi, invece, al salvifico modo di dire tutto bellunese del “contentonse”, potrebbe andare peggio. Un classico.
Ci saremo, allora, diversamente immaginati che, forti delle enunciazioni di principio su autonomia e specialità di cui talvolta amiamo gonfiarci il petto, la conferenza dei sindaci in questo periodo si fosse ritirare ad elaborare strategie di medio lungo periodo sia nel settore sanitario sia in quello socio-sanitario che, proprio nel nostro territorio, rischia di essere fortemente penalizzato per varie motivazioni per lo più note agli stessi sindaci (nda: a proposito come sia con gli ATS?).
Al vedo, cosa abbiamo in mano? Cosa ha prodotto la ns. politica a livello locale in questi sei anni. Poco? Nulla! Agli atti non c’è la benché minima traccia di un pensiero al riguardo, di una tesi perseguita con determinazione, di relazioni ed elaborazioni esplicative della stessa. Nulla, ad eccezione di qualche stentato richiamo alla telemedicina o a qualche lamentazione sui medici di base. Persi anni. Perse occasioni.
Allora è bene ricordare che i livelli prestazionali dei servizi sanitari sono uno degli elementi che qualificano un territorio, ma soprattutto sono uno degli asset che, assieme all’abitazione (averne una), al lavoro (poter avere un reddito) e ai trasporti (andare dove ho prioritariamente bisogno), comportano che l’abitante della montagna non sia costretto a scendere nelle valli più abitate o addirittura scappare in pianura, ma resti là ove è nato a difesa non tanto di una sterile identità socio-culturale che il bellunese non ha mai saputo maturare, ma della sua stessa esistenza fisica.
La responsabilità di questo comportamento, che nel migliore dei giudizi, può essere assimilato ad una grave negligenza, sta tutto nella politica, si badi, la politica nelle sue diverse entità e colorazioni, senza distinzioni di una o l’altra parte.
Rattrista prendere atto, ma tutto ciò conferma che vige ed è radicato il “contentonse” di cui sopra, vezzo ancestrale-psicologico che non ci fa schiodare dal provincialismo al quale siamo avviluppati, impotenti ed incapaci di disegnare una parte di idealità, quindi anche di futuro. Non possiamo, infatti, negare che la sanità non sia uno spicchio importante per l’orizzonte prossimo futuro dei territori e delle prossime generazioni: nostri figli e nipoti.
Forse, c’è ancora il tempo per fare qualcosa. Se così fosse (è) Serve allora sterzare con decisione a 180 gradi.
Cosa fare nel concreto di un percorso di straordinaria importanza per tutte le nostre comunità?
Al netto della gerarchia Hub/Spoke che comporta una volontà politica netta e definitiva per decidere quale ospedale sia hub e quale sia spoke (andiamo quindi oltre la consueta querelle Belluno-Feltre), si ritiene con cognizione di causa che, almeno in una fase iniziale, il percorso di analisi e valutazione sia alla portata anche di chi non ha particolare scienza come chi scrive. Sarebbe, dunque, sufficiente prendere le vecchie schede socio-sanitarie e confrontarle con quelle del 2019, analizzando in dettaglio (nda: non è una valutazione di ordine politico ma di ordine meramente matematico) se l’UOC o c’è o non c’è, se ci sono ancora tutte le UOS o alcune sono state accorpate o eliminate; se l’elicottero vola H24 sì o no; se sono diminuite e di quanto le prestazioni di bassa e media intensità effettuate negli ospedali di Agordo e Pieve di Cadore che ora vengono fatte a Belluno o a Feltre; il posto in letto in più o c’è o non c’è e così via.
Da qui, verificare cosa è stato sottratto nel tempo e cosa è stato magari anche aggiunto, lasciando anche il beneficio d’inventario. Quindi, analizzare in modo ancora più attento lo stato di fatto in ordine ai servizi ora presenti rispetto alle previsioni del 2019, cioè dire cosa era stato previsto e cosa è stato fatto in realtà, se è stato fatto senza soluzione di continuità oppure a singhiozzo. Quindi, provare ad azzardare il parametro valoriale più difficile che è quello di giudicare se nei suddetti servizi c’è stata la qualità minima richiesta (combinato disposto di professionalità offerta nei tempi richiesti dalla situazione clinico-sanitaria e dove questa prestazione è avvenuta, cioè vicino a casa o addirittura in altra provincia?!).
Va da sé che dopo questa analisi che – lo ripetiamo – non può prestarsi ad essere assolutamente giudicata come atto della politica, ma di una pura e squisita analisi matematica, i nostri amministratori e le istituzioni che rappresentano devono tornare in campo con la consapevolezza di dover raggiungere alcuni obiettivi minimi e soprattutto tornare in campo se hanno anche l’ambire di portare a sintesi e coniugare necessità reali delle nostre comunità andando oltre il rituale compitino.
È pressoché scontato che in autunno, dopo le elezioni regionali, venga di nuovo messo mano all’architettura della sanità veneta e completata di certo dopo le Olimpiadi, ciò anche a prescindere dal percorso della definizione dei LEP a livello nazionale, percorso che avrà in ogni caso una sia importanza. Si parlerà di razionalizzazione e non di tagli, di ottimizzazione e non di sottrazione. Ma la sanità bellunese nel corso dell’ultimo quindicennio ha già dato. Basta considerare l’attuale valenza degli ospedali di Agordo e Pieve di Cadore, verificare con carta e penna cosa erano sino a poco tempo fa e cosa sono ora quali Ospedali di Comunità farebbe riflettere meglio.
… Da qui la necessità, visto che l’orgoglio e la dignità sembrano essere sostantivi desueti e non sempre caratterizzanti il bellunese, che i nostri rappresentati per antonomasia, i sindaci, creino senza oltre procrastinare momenti autentici di incontro e di decisioni sul modello di sanità che vogliamo. Traducano tutto questo in proposte autorevoli e tecnicamente perseguibili, presentino alle categorie economiche e sociali il frutto del loro lavoro e, infine, si battano, per una volta assieme, in difesa della sanità bellunese che qualche pezzo di autentico pregio nel tempo ha di certo perso.
Penso solo all’elisoccorso notturno. Fortemente voluto da tutti i sindaci nel 2018/2019, dopo le prime sperimentazioni effettuate per primi in Italia addirittura nel 1998 come gli antesignani che eravamo, promesso dall’Ulss n. 1 per un quinquennio (vedasi decine di atti in questo senso ed altrettante decine di comunicati diversi), ufficializzato dalla stessa Regione Veneto con le Schede del 2019… ed ora lasciato a Treviso senza che nessuno, dico nessuno degli amministratori se ne sia neppure accorto.
Infine, due parole sul ruolo della Provincia. Verificato che l’Ente non ha particolari competenze in materia, va detto che in una situazione come questa dovrebbe avocarle a sé, quanto meno come momento consultivo, a prescindere da ciò che la vigente legislazione dispone. Una Provincia che dovrebbe mettersi a fianco dei sindaci e delle comunità per rilanciare una cornice autorevole sul tema “sanità bellunese”, per farsi anche attrice di una proposta complessiva, forte e determinata per permettere di sopravvivere a noi stessi e dare certezze alle generazioni future.
Si parta quanto prima a ragionare e poi a fare con la necessaria concretezza. Ogni giorno c’è, infatti, qualcuno che da questa provincia scappa, un altro bimbo che non nasce, anzi più d’uno, altri ancora che pensano di trasferirsi e molti altri che hanno rifiutato di venire a stabilirsi per assenza di alcuni servizi minimi (es: la casa) soprattutto nelle aree più interne del territorio.
Buon lavoro.
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13 commenti
Antonio Pol
Condivido parola x parola Rufus.
Fabio Bristot
Grazie.
Giorgio
Così è chiaro. Grazie Rufus. Basta piangersi addosso. Bisogna agire.
Fabio Bristot
Esatto. Ma inizia ad essere tardi e serve spostare l’attenzione dalla necessità di asfaltare una stradina, cioè dall’ordinario, a quella di delineare strategie realizzabili per la nostra provincia.
Giuseppe
Quali sono i motivi per i quali i sindaci bellunesi non fanno la loro parte? Che giustificazioni adducono per non intervenire in favore dei propri cittadini?
Fabio Bristot
Caro Giuseppe mi piacerebbe avere questa conoscenza, ma talvolta è inerzia rispetto allo studio (abbastanza semplice a mio avviso) della situazione esistente. Che, poi, in realtà, non è neppure uno studio, ma dovrebbe essere una lucida. oggettiva fotografia.
Ferdinando
Non escluderei Cortina da questa analisi, corretta.
Guardiamo cosa è successo;
Eliminazione del centro di riferimento nazionale per la diagnosi e cura delle infezioni dell’osso.
Chiusura della traumatologia che viene inviata a Belluno.
Assegnazione secondo bando (unico partecipante) a GVM e si crea un centro privato convenzionato (scelte del Signor Zaia che voleva copiare, forse, la Lombardia)
Ferdinando
Non escluderei Cortina da questa analisi, corretta.
Guardiamo cosa è successo;
Eliminazione del centro di riferimento nazionale per la diagnosi e cura delle infezioni dell’osso.
Chiusura della traumatologia che viene inviata a Belluno.
Assegnazione secondo bando (unico partecipante) a GVM e si crea un centro privato convenzionato (scelte del Signor Zaia che voleva copiare, forse, la Lombardia)
Fabio Bristot
Non conosco abbastanza la questione GVM, ma alcune dinamiche mi sono note. Serve, infatti, fare analisi puntuale che è solo matematica e verificare cosa c’era prima e cosa “non c’è” più ora. Trarre le conclusioni ed avanzare proposte che non siano sterili rivendicazioni. Ma qualcosa va fatto alzando la modesta consapevolezza che ora impera, in alcuni casi del tutto assente…
Maria Cristina Zoleo
Caro Rufus, condivido in parte la tua analisi ma mi/ti chiedo cosa possiamo fare per aver voce autorevole e propositiva senza fare confusione?L’antagonismo tra Belluno e Feltre e’ atavico…. Hai ragione che dovremmo ripartire dal ” piano regolatore sanitario” e capire come poer incidere posotivamente perche’ il diritto alla salute e’ di tutti ma soprattutto di chi non ha voce.
Grazie!
Fabio Bristot
Grazie del commento all’articolo. Credo che si debba ripartire proprio dal piano regolatore con il massimo coinvolgimento consapevole del territorio. Ma qua è il punto? Quanti dei nostri amministratori hanno matura consapevolezza delle dinamiche in corso?
Mic
Contentonse… che disastro! La Sanità è il tema.. ma è solo uno di quelli che si potrebbero affrontare e analizzare … tutti con medesimi o simili risultati…
Dal Comelico, quando c’è un problema, si fa il Passo M.Croce e si va a San Candido (se pur anche questo ridimensionato) o Brunico che comunque sono – mal che vada – a 25’ o 55’ !
Questo è il risultato, la gente si attrezza diversamente nell’indifferenza di chi dovrebbe difenderne i Diritti!!
Saluti
Fabio Bristot
Condivido ed è il motivo stesso per cui ho ritenuto di scrivere questo pezzo “Contentonse2”. Un richiamo alle responsabilità dei nostri amministratori che non devono ratificare scelte, ma governare assieme processi. E quello della sanità è e rimane uno dei più importanti per il nostro territorio.