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lunedì 8 Dicembre 2025,

Un ricordo di «Renato del Coldai» ►Foto

Di Giorgio Fontanive. Nella foto Enza Della Putta e Renato De Zordo

Venerdì 1° agosto il mondo della montagna ha salutato per l’ultima volta Renato De Zordo, classe 1934, alleghese: una vita dedicata al lavoro. Quel lavoro che ha condotto ‘‘René’’ per valli e per monti fin dall’adolescenza, e non per riempire il tempo libero.

Renato De Zordo (1954-2025). Si fa presto a dire 50 anni di gestione ma, per esempio, Armando Da Roit rimase al Vazzolèr “solo” 32 stagioni; Nino Del Bon al Rifugio Faliér raggiunse i 40 anni.

Un ricordo da dodicenne lo vede per la prima volta al Rifugio Coldai, incenerito dalla soldatesca nazista l’11 ottobre 1944. Fu un incontro casuale con quel luogo che, un ventennio dopo, sarebbe diventato il fulcro della sua esistenza, fino alla morte; addirittura, ne fu plasmato persino il suo appellativo d’identificazione: per molti era semplicemente «Renato del Coldai».

Enza e Renato nel soggiorno della casa di Masarè, accanto alla grande foto ricordo di Eliana e Paolo, i cui corpi giacciono sulle Ande, sepolti nel ghiaccio.

Aveva iniziato ben presto con il lavoro: sedicenne boscaiolo, segantino, altri lavori temporanei e poi carpentiere in Svizzera nel “comparto dighe”, affiancando al rientro invernale in patria una proficua attività sportiva nell’hockey, che lo portò ad essere uno dei migliori in campo; tra i successi, la vittoria della squadra alleghese nel campionato Italiano Serie “B” nel 1963. L’anno precedente aveva sposato Enza Della Putta ed era ormai in arrivo il figlio Luca che sarebbe stato seguito nel 1965 dalla sfortunata Eliana, deceduta assieme al compagno Paolo Crippa in Patagonia nel 1990. (…)

Efficienza era una parola ben conosciuta da Renato: qui l’escamotage per facilitare il trasporto del materiale dalla teleferica al rifugio Coldai.

Sul numero 32 dell’Amico del Popolo “di carta” del 7 agosto 2025, in distribuzione questa settimana (su abbonamentoin edizione digitale e in edicola), puoi leggere il ricordo di Renato De Zordo scritto da Giorgio Fontanive e una memoria di Loris Santomaso.

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