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venerdì 5 Dicembre 2025,

Samuel Morse e Tiziano Vecellio, l’accoppiata che non t’aspetti

L’inventore del telegrafo tra l’elettromagnetismo e la pittura, amante dell’arte italiana e grande estimatore di Tiziano. (nella foto un particolare del restauro del quadro di Morse).

Che Samuel Finley Breese Morse, l’inventore del telegrafo, sia stato un uomo di multiforme ingegno è fatto pacifico e risaputo, ma che la sua duttilità abbia potuto spaziare disinvoltamente tra elettromagnetismo e pittura non è altrettanto noto ai più. Se poi aggiungiamo che egli fu un amante dell’arte italiana e un grande estimatore di Tiziano Vecellio, tanto da riprodurre con certosina pazienza molte sue opere ammirate al Louvre di Parigi e agli Uffizi di Firenze, ecco che probabilmente in molti sorgerà un po’ di meraviglia e curiosità.

Ad illustrare questo inusitato rapporto tra Morse e il “divin pittore” cadorino è stato recentemente William Barcham, professore emerito della New York University, in un suo studio intitolato Tiziano rivisitato nell’800: tra invenzione e finzione, tra mistificazione e apoteosi, comparso sull’ultimo numero di Studi Tizianeschi. Annuario della Fondazione Centro Studi Tiziano e Cadore (n. XIV, 2025, pp. 129-149).

A ciò s’aggiunge la divulgazione sul web (www.youtube.com/watch?v=7khu93bosyY) del restauro operato da Lance Mayer e Gay Myers, di New London (Connecticut), su un celebre quadro di Morse del 1833, “La galleria del Louvre”, olio su tela, conservato presso Terra Foundation for American Art di Chicago, organizzazione no-profit dedicata al sostegno di mostre e progetti sull’arte americana in tutto il mondo. 

Il 24 maggio 1844 Morse entusiasmò il pubblico americano inviando il messaggio biblico “Che cosa ha fatto Dio?” via telegrafo, da Washington a Baltimora. Ma poco noto è il precedente suo tentativo di collegare il Nord America all’Europa attraverso la sua arte, in un dipinto intitolato “Galleria del Louvre”. Prima di diventare un inventore, egli, nativo del Massachusetts, era infatti un artista, laureatosi a Yale nel 1810 e perfezionatosi a Boston e a Londra. All’epoca c’erano pochi musei d’arte negli Stati Uniti, gli americani viaggiavano poco e la loro conoscenza dei grandi maestri come Tiziano, Rubens, da Vinci e Veronese era assai limitata.

Il nostro si prefisse quindi di “educare” i suoi connazionali, contribuendo a fondare la National Academy of Design di New York, tenendo varie conferenze e soprattutto costruendosi un suo formidabile strumento di insegnamento e divulgazione, ovvero il suo quadro “La Galleria del Louvre”. Si tratta di un dipinto davvero imponente, di metri 1,8 x 2,7, raffigurante 38 opere realizzate da 28 pittori europei dal XVI al XVIII secolo, tutte esposte al Louvre.

Poiché il Salon Carré del museo era pieno di dipinti francesi contemporanei, quando fu al Louvre nel 1831 e nel 1832, Morse si concesse la libertà di reinstallare sulla sua tela in quella mitica sala tanti capolavori ritenuti canonici e provenienti da altri ambienti del museo, elevandoli a modelli di tutti gli studenti d’arte. Quel quadro insomma avrebbe dovuto diventare un’affascinante vetrina di grande arte, proponendosi come una miniatura di un vero museo, un concentrato di capolavori in grado di dimostrare cosa fosse la grande arte e di offrire importanti insegnamenti agli studenti d’arte che li studiassero e li copiassero. Egli era convinto insomma che presentando agli americani una sfavillante vetrina di grande arte avrebbe fatto in miniatura ciò che solo un museo d’arte nazionale poteva

In quella galleria virtuale in primo piano compare Morse, che alle spalle della figlia Susan osserva ciò che lei sta disegnando, mentre nell’angolo sinistro del dipinto si nota lo scrittore James Fenimore Cooper, con la figlia e la moglie, e, a sinistra, il collega Richard Habersham, che sta copiando un paesaggio. Si suppone che per avvicinarsi ai quadri originali Morse abbia avuto il permesso di installare un’alta impalcatura spostabile di volta in volta.

Il dipinto tuttavia non raggiunse gli obiettivi prefissati. Fu esposto a New York e a New Haven, nel Connecticut, ma senza grande clamore. Molti attribuiscono il disinteresse del pubblico alla mancanza di narrazione del dipinto e il drammaturgo e attore americano William Dunlap lo definì “caviale”, in quanto attraeva artisti e intellettuali, che ne comprendevano lo scopo, ma non stuzzicava l’appetito meno esigente delle masse.

Il dipinto fu acquistato da George Hyde Clark nel 1834 per 1.300 dollari, circa la metà del prezzo richiesto da Morse. Si dice che passò poi di mano in mano tra diverse famiglie e negli anni ‘80 dell’Ottocento finì alla Syracuse University, dove rimase per quasi un secolo. Nel 1982, la Terra Foundation for American Art di Chicago acquistò la Galleria del Louvre per 3,25 milioni di dollari, la cifra più alta pagata fino a quel momento per un’opera di un pittore americano.

Tra i 41 capolavori miniaturizzati ben 4 sono di Tiziano: il “Cristo coronato di spine”, la “Cena ad Emmaus”, la “Deposizione” e il “Ritratto di Francesco I re di Francia”, un record condiviso solo con Anthony Van Dyck.

Non sappiamo molto sui criteri di lavoro adottati da Morse al Louvre per la sua certosina riproduzione di tanti capolavori, poiché la Terra Foundation possiede solo un unico suo studio preliminare, una copia su tavola di 20 x 25 cm, che – guarda caso – riguarda proprio il “Ritratto di Francesco I” di Tiziano.

Ma non si esaurisce qui il sodalizio tra Morse e il pittore cadorino. L’inventore artista studiò pure i quadri di Tiziano nelle Gallerie dell’Accademia durante un suo soggiorno di due mesi a Venezia ed ebbe modo di operare diverse trascrizioni di suoi ritratti, tra le quali spicca una copia datata 1831 e assai poco nota del presunto autoritratto del pittore conservato a Firenze, opera posseduta dalla The Samuel F.B. Morse House di Locust Grove, a New York.

Walter Musizza

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