L’estate del 1985 «in un giusto equilibrio tra sogni, famiglia e libertà». Ce la racconta Deborah Compagnoni, per la rubrica «La mia estate più bella».

Era un periodo particolare: da un lato c’era ancora l’adolescenza, con la sua leggerezza, gli svaghi e i sogni simili a tutti i miei coetanei ed amici, dall’altro cominciavo già a sentire le prime responsabilità legate all’attività agonistica. Mi allenavo con la nazionale, partivo per Cervinia, per il Monte Bianco, e per le altre località dove si poteva sciare nella stagione calda. Ma poi tornavo a casa e lì c’erano ancora mia nonna e mio nonno. Li aiutavo in albergo, stavo con loro, vivevo momenti semplici e autentici, spensierati.

Quell’estate rappresenta un passaggio importante della mia esistenza: non ero più una bambina, ma non ero ancora immersa completamente nella vita da atleta, con le pressioni e le aspettative che ciò comportava. Se dovessi cercare una definizione che ne riassuma il senso, direi che era una specie di “fase di mezzo”, dove c’era ancora spazio per la spensieratezza, ma iniziavo a capire cosa significasse avere degli impegni. Credo fosse il 1985 o il 1986, sì quegli anni lì.
Ecco, quella è stata forse la mia estate più bella, trascorsa in un giusto equilibrio tra sogni, famiglia e libertà. Dopo non sarebbe più stato così: sarei stata sempre più presa dallo sci, dagli allenamenti, dalle gare, dall’agonismo. Sarebbe iniziata una nuova stagione della mia vita, bella, straordinaria, vincente, ma totalmente diversa rispetto a quell’estate di metà anni Ottanta.
Sul numero 37 dell’Amico del Popolo “di carta” del 18 settembre, in distribuzione questa settimana (su abbonamento, in edizione digitale e in edicola), puoi leggere l’intera testimonianza di Deborah Compagnoni per «La mia estate più bella».
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