Belluno °C

lunedì 15 Dicembre 2025,

«Arancio» viene dall’arabo e «narànza» ancora di più

È arabo anche il nome del suo fiore: la zàgara

Tutte le puntate

Acquolina in bocca? Dai che manca poco: in Sicilia gli aranci iniziano a fruttificare generalmente tra novembre e dicembre e presto ci regaleranno il piacere di guardare la forma dei frutti, ammirarne il colore, annusarne il profumo, accarezzarne la buccia. E poi assaporare il gusto della polpa e del succo… Una meraviglia!

Un’arancia. (Pexel, Maria Victoria Portelle)

Una meraviglia di cui dobbiamo ringraziare gli arabi. Ce l’hanno portata loro la pianta, ci hanno insegnato il suo nome e anche come coltivarla. Hanno cominciato loro, nel IX secolo, a modificare il paesaggio della nostra isola più grande per insediarvi le piantagioni di aranci.

Spesso le parole viaggiano insieme con gli oggetti che indicano, tanto più se l’oggetto è una novità. E così accadde per l’arabo nāränğ, arancio, che in realtà ancora una volta – l’abbiamo già notato in questa rubrica – va ricondotto lontano, più verso oriente, in particolare al persiano e all’indiano. Bisogna ricordare che gli arabi antichi, scarsi di numero e abbastanza poveri di cultura, si stabilirono in terre più civilizzate con il progressivo accoglimento della religione islamica: fu così che l’arabo si arricchì di conoscenze e di parole, tanto da diventare capace di esportarle a sua volta. Con il paradosso che molte radici indeuropee presenti nella regione indiana sono giunte a noi italiani, che apparteniamo allo stesso ceppo indeuropeo, per il tramite di una lingua, l’arabo, con la quale non c’è parentela.

Nei testi italiani troviamo arancio a partire dal Trecento. Ma la forma convive con narancio che è per esempio nell’uso di Ludovico Ariosto e si presenta frequentemente nei dialetti: narànza qui in provincia di Belluno ma anche in veneziano e nei dialetti veneti. La forma con la n- iniziale è più vicina all’originale arabo, mentre la caduta di n- testimonia un fenomeno molto frequente: n- iniziale viene scambiato come parte dell’articolo e la parola finisce per perdere un pezzo (un narancio diventa un arancio, con discrezione dell’articolo). È facile fare confusione con gli articoli davanti alle parole, specialmente quelle nuove: se volete un esempio tutto nostro, prendete la radio che nei dialetti bellunesi viene percepito come l’aradio e diventa perciò maschile (c’entra anche il finale in -o), tanto che si dice un aradio (si chiama: concrezione dell’articolo).

L’arrivo dell’arancio si porta dietro un’altra parola araba: in siciliano e poi nella lingua letteraria italiana la zàgara indica il fiore d’arancio e viene dall’arabo zahr(a). Che significa, semplicemente: fiore.

La zàgara d’arancio. (Di Ellen Levy Finch (Elf) Wikipedia)

___

Molti studi sono stati pubblicati sulle parole che vengono dall’arabo e che compaiono nell’italiano e nei nostri dialetti. Ma il riferimento più importante (sul quale si basa anche questa nostra rubrica «Ma parlo arabo?») è costituito dai due volumi «Gli arabismi nelle lingue neolatine con speciale riguardo all’Italia», opera che porta la firma del glottologo agordino Giovan Battista Pellegrini. La pubblicò nel 1972 per Paideia Editrice Brescia, con una dedica: Alla memoria di mio padre dr. Valerio Pellegrini, nato a Lozzo di Cadore nel 1879 e morto a Cencenighe Agordino nel 1958. I Pellegrini erano una famiglia di farmacisti, originaria di Rocca Pietore, che per lavoro si spostò in Cadore per poi tornare in riva al Cordevole.

Storie di migrazioni, vicine e lontane. Giovan Battista Pellegrini, linguista italiano fra i più importanti, ebbe la ventura di insegnare all’università in Sicilia: si rese conto che le parole di origine araba, laggiù, erano davvero numerose (nei dialetti, nei nomi di luogo…) e gli venne l’idea di raccoglierle e di studiarle.

E noi oggi, anche grazie a lui, possiamo chiederci, stupiti: «Ma allora parlo arabo?» Sì, un po’ sì.

Seguici anche su Instagram:
https://www.instagram.com/amicodelpopolo.it/

1 commento

  • Proprio interessante! In casa ho una lettera del 1800 e ciàpela nella quale un uomo di Zoldo, emigrato quasi definitivo a Venezia annuncia alla moglie un grande dono: na naranza! Allora, per la gente povera, un’arancia era già un grande dono! Sì resta male già solo a leggerlo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *