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domenica 14 Dicembre 2025,

Carlo Camillo Rudio, un bellunese al fianco di Calvi, Orsini e Custer

Fu tra i congiurati che prepararono l’attentato a Napoleone III del 14 gennaio 1858

Il 1 novembre del 1910 moriva a Pasadena, nel sud della California, il bellunese Carlo Camillo di Rudio, al termine di una vita più avventurosa di un romanzo di appendice. Era nato a Belluno il 26 agosto del 1832 da una famiglia dell’antica nobiltà cittadina, ormai in crisi finanziaria dopo gli sconvolgimenti napoleonici, ed era stato avviato alla carriera militare assieme al fratello Achille. Il padre si chiamava Ercole Placido, un nome che era già un programma di vita, mentre la madre, Elisabetta de Domini, era figlia di un conte, funzionario del governo austriaco a Belluno, che la diseredò per aver sposato uno spiantato.

Mandato col Fratello a Milano, nell“imperial-regio collegio militare dei cadetti” di San Luca (la scuola militare fondata dal napoleonico Pietro Teuliè che giusto un secolo dopo sarebbe stata frequentata anche dall’allievo ufficiale Dino Buzzati) fu contagiato dal clima risorgimentale (vi aveva insegnato Silvio Pellico) e mentre veniva trasferito con i suoi compagni a Graz (dove era tenente il giovane Pier Fortunato Calvi) uccise un commilitone croato che aveva infierito su due donne. Fuggito da Graz raggiunse Belluno per passare a Venezia e partecipare alla difesa della repubblica di Daniele Manin (suo fratello Achille vi morì di colera). Caduta Venezia passò poi a Roma, ultima roccaforte degli insorti italiani, dove ebbe modo di conoscere tutti i maggiori esponenti del Risorgimento, da Garibaldi a Mazzini.

Persa anche Roma, trovò rifugio in Francia, dove entrò in contatto con i giacobini che si opponevano al colpo di stato di Napoleone III, ma fin dal 1851 fece parte del gruppo mazziniano che progettava la nuova rivolta che Calvi avrebbe dovuto guidare in Cadore nel 1853, Gli Austriaci intercettarono i cospiratori, Calvi finì fucilato e Rudio riparò a Genova per imbarcarsi e raggiungere Garibaldi che intanto era partito per New York, ma la sua nave naufragò. Riuscì a salvarsi in Spagna e raggiunse la Svizzera, passò in Piemonte e infine arrivò in Inghilterra, dove si unì al gruppo dei mazziniani di Londra. Sposò una giovanissima inglese, Eliza Booth, da cui ebbe sei figli (il primogenito fu chiamato ovviamente Ercole).

Ma Rudio non poteva stare fermo. Tra i congiurati che prepararono l’attentato a Napoleone III del 14 gennaio 1858 c’è anche Carlo Camillo Rudio, che dopo aver lanciato una delle tre bombe (le altre le lanciarono Felice Orsini e Francesco Crispi, come Rudio raccontò solo nel 1908) verrà catturato assieme agli altri cospiratori e condannato a morte. Crispi, che era sfuggito, sarebbe diventato garibaldino e poi Primo Ministro, Orsini e un altro saliranno sulla ghigliottina, mentre il nostro, grazie anche all’avvocato che gli aveva trovato il suocero inglese, fu condannato “solamente” all’ergastolo nell’isola del Diavolo, nella Caienna, da cui nessuno era mai riuscito a fuggire. Nessuno tranne Rudio, che al secondo tentativo, meno di un anno dopo l’arrivo nell’isola, riuscì ad evadere raggiungendo la Guyana Britannica e da lì nel 1860 la famiglia in Inghilterra.

Pronto per una vita finalmente tranquilla? Macchè. Avrebbe voluto tornare in patria per partecipare alle guerre d’indipendenza, ma ricercato dalle polizie di Francia e Austria era troppo rischioso tentare di rientrare in Italia. Nel 1861, grazie ad una lettera di raccomandazione di Mazzini, partì per gli Stati Uniti d’America, dove era appena scoppiata la Guerra di Secessione e venne subito arruolato come volontario – con il nome americanizzato di Charles DeRudio – tra i Nordisti, guadagnandosi sul campo il grado di sottotenente al comando di una delle poche compagnie di soldati di colore. Vinta la guerra, restò nell’esercito. Quale destinazione aveva in serbo per lui il fato? Ovvio: nel 1869 fu assegnato al 7° Cavalleggeri del Tenente Colonnello George Custer, impegnato nelle guerre indiane.

C’era anche il nostro Carlo Rudio, la mattina del 25 giugno 1876, quando i cavalleggeri di Custer arrivarono a Little Big Horn. Mentre Custer decise spavaldamente di avanzare, mise il capitano Marcus Reno al comando di una colonna che avrebbe dovuto attaccare l’accampamento indiano. Rudio era in quella colonna e quando la battaglia scoppiò improvvisa e le tribù dei Sioux Lakota e Oglala, dei Cheyenne e degli Arapaho comandate da Toro Seduto e Cavallo Pazzo sterminarono la colonna di Custer, Rudio fu mandato indietro per tentare di aiutare Custer mentre Reno si allontanò verso il forte più vicino per cercare rinforzi. Ma quella volta “i nostri”, cioè sia Rudio che Reno, arrivarono quando ormai era troppo tardi. Rudio e Reno furono tra i pochi visi pallidi che uscirono vivi da Little Big Horn, finirono a processo ma vennero assolti dalla corte marziale. Rudio rimase nell’esercito ancora qualche anno, facendo in tempo a partecipare al lungo inseguimento dei Nasi Forati di Capo Giuseppe che puntava verso il Canada e alle vicende legate alla cattura tra Oklahoma e Nevada del mitico capo Geronimo degli Apache Chiricahua.

Andò in pensione nel 1896, a 64 anni, ritirandosi con le tre figlie Italia, Roma e America a San Diego, in California, dove nel 1904 gli venne conferito il grado di maggiore. Morì a Pasadena, vicino a Los Angeles, il 1 novembre del 1910. Dalla finestra poteva vedere le montagne del San Gabriel Range con la prima neve. Sopra il suo letto aveva ancora i ritratti di Mazzini e Pier Fortunato Calvi.

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3 commenti

  • Quest’estate ho assistito ad un bellissimo siparietto: una comitiva di attempate turiste dall’accento centro-meridionale, dopo essersi imbattuta nel monumento pievigino a Calvi, si meravigliava per aver sempre ignorato che il famoso banchiere fosse originario del Cadore. W la storia!

  • Camillo di Rudio un racconto affascinante.

  • Pero’ mi domando. Neanche un cenno al libro pubblicato proprio li’ a Belluno, da editore Bellunese, nel 1996 e ristampato nel 2010 con interessanti aggiornamenti?
    Ci sarebbe da aggiungere e da correggere nell’articolo da voi pubblicato, ma mi limito a prendere atto ancora una volta, con amarezza, della mancanza di rispetto professionale nei confronti di chi ha dedicato decenni di ricerca al nostro personaggio e alla sua vita tanto straordinaria quanto ancora per certi versi controversa.
    L’anno scorso io stesso ero di nuovo al Presudio di San Francisco, dove si trova la sua tomba, per portare a Carlo Rudio i saluti della sua Belluno dimentica e della sua amata Italia. E tra poco lo andro’ a salutare invece proprio qui a Washington, dove il nome di Carlo Rudio e’ inciso sul monumento ai soldati di colore e ai loro ufficiali bianchi, lui uno di questi, che combatterono a fianco dei Nordisti nella Guerra Civile americana.
    Firmato:
    Cesare Marino

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