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lunedì 15 Dicembre 2025,

28. Acqua di vita

«Il futuro è già passato ovvero mi, Belun, i Belumat e le bele compagnie». 28a puntata

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Belluno, il ponte di Borgo Prà.

Per raggiungere le osterie di Borgo Prà, dalla Cerva si prendeva invece el scurton de Vila Brosa, così detta probabilmente per il freddo patito dalla casa sita in quella posizione a pustèrno. Scendendo per il viottolo si arrivava nella zona del nuovo Foro Boario realizzato dopo che l’area di Piazza Piloni era stata destinata a più nobile servizio[1].

Il Foro Boario.

Oggi nello stesso sito è in funzione il Palazzetto dello Sport (inaugurato nel mese di marzo del 1971) che è dotato, sul lato nord, di un grande parcheggio che arriva fin oltre l’altezza del Ponte degli Alpini, inaugurato a sua volta nel medesimo periodo.

Il parcheggio in Foro Boario, dietro il Palasport, in anni recenti.

Allora come oggi, la stradina passa accanto a un grande lavador coperto da ampie vasche di pietra a piani di lavoro contrapposti, capaci di ospitare credo, almeno una dozzina di donne in contemporanea. Dato il borgo popolare, in zona vivevano di quel lavoro molte famiglie[2].

Il lavatoio in Foro Boario.

Il manufatto è ancora in piedi anche se in cattivo stato ed è davvero un peccato che quei del Comun non abbiano ancora colto l’occasione (e chissà mai se la coglieranno) di rivalutare tutta l’area della roia dell’Ardo[3] e dintorni (questo lavador compreso) come area culturale di memoria e di promozione territoriale data la concentrazione di storia, artigianato e tecnologie vissute dall’area; ma riprenderò il discorso in altro capitolo.

Una pubblicazione sulla vecchia centrale sul torrente Ardo.

Da parte mia ho più volte sollecitato in tal senso[4] quelli che ho ritenuto potenziali fautori di un possibile recupero della Peschiera come sito museale e multimediale di partenza per un percorso ‘roggia’ da concludersi sulla Piave, nell’omonimo Borgo, con la dislocazione di un sito-porto di zattere, completo di ufficio dei dazi, dove raccontare la storia straordinaria di questa scomparsa categoria di lavoratori il cui primo statuto cittadino risale al 1472.

I mulini di Corontola, sull’Ardo.

Ecco le tappe salienti del percorso proposto: vecchia Centrale elettrica (con recupero funzionale), Follo (lavorazione lana feltro), Mulino, Lavanderia (con coloritura al ‘naturale’ dei tessuti) Falegnameria, Ferreria del Busighel (magli), Conceria, Mole e terracotte (a memoria di Borgo Tiera), Casa dei Dazi, Porto delle zattere. Per certi versi ci si è avvicinati più volte a qualcuno di questi obiettivi[5] ma è mancata la capacità progettuale di strutturare un progetto europeo di grande impatto e di livello internazionale ad ampio coinvolgimento.

L’Ardo con la roia e gli opifici, particolare della rappresentazione del Falce.
La stazione di piscicoltura sull’Ardo, a Fisterre.

Anche per debolezza ‘politica’, non si è riusciti a nucleizzare le diverse proprietà per consentire una ipotesi operativa uniforme e programmabile a medio-lungo termine in modo da consentire collaborazioni con enti di maggior spessore e richiedere, sulla proposta, la nascita di un Gestore speciale, tipo Parco, almeno di carattere regionale o nazionale.

La storia comunque continua a ripetersi.

Lupetti di monte (estate 1958)

In vacanza in Comelico. Da sinistra Gianni Bogo, sconosciuto, Giovanni e Stefano Cattarossi, Andrea Ferro, Paolo Durigon, sconosciuto sopra Gianni Secco.

Zio Barba, per quell’anno, come allenamento, ci dirottò in colonia in montagna, a San Pietro di Cadore … leggo nel mio diario «che era (ed è) un posto bellissimo ma sfortunato perché tutto in discesa, o in salita, come si vuole. Degli abitanti si dice che non tengano galline perché le uova rotolano tutte a valle.

Per fortuna, per una strada poco nota, si arriva in una valle tanto bella che pare impossibile (è la Val Visdende)». Con me, come sempre, oltre ai coetanei di periferia, c’era anche Gianni Bogo.

G. & G.

Era il 1948… Gianni Secco e Gianni Bogo.

A dire il vero San Pieru era assai più monotona di Fener che raggiungemmo entrambi con gran gioia. Quell’anno (credo fosse il ’58) la Santola Franca aveva accettato la proposta di mia madre che aveva pure convinto la nonna sull’opportunità di farmi accompagnare da Gianni, garanzia, secondo lei, di miglior andamento comportamentale che non di un singolo. Qualcosa di vero ci deve essere stato perché di problemi non ce ne furono e il buon carattere di Gianni B. tanto convinse nona Maria, che le vacanze estive di coppia a Fener si ripeterono, con gusto reciproco, ogni anno, fino alla nostra maturità scolastica.

Ancora Gianni Secco e Gianni Bogo

Il sodalizio G. & G. cioè Gianni Secco e Gianni Bogo esiste da prima della nostra nascita e potrebbe essere vero quanto raccontato dalle nostre madri stesse che si erano, diciamo così, accordate per provare a figliare ‘in parallelo’ cioè nello stesso periodo, così si sarebbero consolate a vicenda nella loro prima esperienza del genere. Nei fatti, sono più vecchio di Gianni di un paio di mesi (mi pare). 

Gianni & Gianni.

Da quando ricordo, l’ho sempre visto accanto e l’ho considerato, più che un fratello, un altro me. I nostri caratteri si sono sempre mostrati complementari; il mio più spumeggiante, il suo più riflessivo, due teste pensanti con una comune frequenza di relazione: ecco cos’è stata la nostra amicizia, praticata per vent’anni e poi sospesa da più di quaranta date le sue migrazioni[6].

Stefano Cattarossi “mat” 

Davanti a casa mia, dopo qualche anno a campi di granoturco, erano cresciute le nuove case della periferia bellunese (se così si può chiamare un posto che dista a piedi dal centro un quarto d’ora).

Monsignor Cattarossi, vescovo di Belluno e Feltre.

Su quella dirimpetto vennero ad abitare i Cattarossi, famiglia friulana illuminata dalla memoria del Vescovo parente Giosuè, che tanto si era distinto per la sua generosità da essere tenuto popolarmente quasi santo[7]. La famiglia era numerosa e li ricordo ancora tutti e bene, padre e madre e cinque figlioli di cui tre sorelle più vecchie di me e poi Giovanni, quasi classe, e Stefano, di un paio d’anni più giovane il che, alla nostra età, lo classificava al confronto, un moccioso, e correttamente dato che lo era davvero spesso. Questa condizione lo relegava nel limbo degli abbandonati per cui veniva tralasciato dai giochi di squadra (si pensi a una partita di calcio) parché l féa pèrder, o si doveva accontentare di ruoli minori o di ripiego quando lo accettavamo (e a volte la società dei bambini comprende cattiverie e sopraffazioni affatto innocenti). Non so se questo c’entri col successivo fatto di sentirsi inadeguato; so che cresceva un po’ strano, sempre al limite della condivisione, a volte taciturno e timido, ora aggressivo; insomma con una personalità sbilanciata come da una identità ferita o da una sensibilità troppo calpestata. A un certo punto si mise a dipingere e se ne fuggì a Roma per fare l’artista, riuscendo ad esibirsi anche come attore[8].

Nella capitale non trovò di certo vita facile tanto che dopo molti andirivieni si ritrovò a Belluno a vendere le sue tele sottoprezzo pur di poter campare e spendere fin troppo in bere. Tuttavia aveva genio e le sue cose profumavano di innocenza e ingenuità nonostante i vizi. Tanta bontà ebbe come premio l’amore di una donna che se lo andava, ogni volta, a recuperare ai limiti delle sue ‘pazzie’, ed era bellissima, e lo adorava perché lo vedeva solo nel dentro, e che non lo mollò fino a quando riuscì a distruggere il proprio involucro lasciando solo ricordi e quadri, finalmente liberi di raccontare la sua vera anima.


[1] A sua volta Piazza Piloni aveva sostituito in questa funzione Piazza Campedel.

[2] E l’inesistenza di elettrodomestici specifici….

[3] Iniziative in tal senso sono nate più volte sotto la spinta dell’Ascom dando luogo a una serie di progetti di recupero ambientalistico e valorizzazione paesaggistica di buona intenzione ma di debole consistenza (leggi passeggiate).

[4] Ascom e Comune di Belluno.

[5] Cfr. Antonella Costa, Giardini nella Provincia di Belluno, IBRSC, Belluno 2002, pp. 147-148.

… A Feliciano Vinanti, direttore della Stazione di Piscicoltura di Fisterre, si deve la promozione di un particolare luogo di intrattenimento. Una passeggiata dal centro della città di Belluno culminava in uno spiazzo posto tra l’acquedotto di Fisterre e il Torrente Ardo. Qui si dava appuntamento la società bellunese che aveva assunto l’abitudine del ‘passeggio’ per raggiungere un fantasioso chiosco, evoluzione pubblica della romantica coffee house … Si era ai primi del Novecento

[6] È stato per anni in Germania, poi in Inghilterra dove si è pure sposato e quindi negli Stati Uniti, dove credo viva tuttora, sempre lavorando nel settore dei ricambi automobilistici.

[7] Credo che il Vescovo fosse lo zio dei miei amici per parte di padre dato che la faccia di questi mi ricordava, per sembianze, la larva mortuaria del prelato fatta dal padre di Franco Fiabane, che ho visto per una vita nel suo atelier e che mi aveva impressionato per i peli rimasti presi nella colata di impressione. Nato a Cortale nel 1863, Monsignor Giosuè Cattarossi fu Vescovo della diocesi di Feltre e Belluno dal 1913 e in quest’ultima città morì nel 1944.

[8] Partecipò al film Anna, regia di Alberto Grifi e Massimo Sarchielli, Roma, 1975.


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