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Era il 2001. Tai di Cadore. Un uomo si avvicina all’azienda di Annalisa Baldovin, arriva in taxi per non farsi riconoscere, pistola in pugno fa uscire gli altri dipendenti e poi le spara.
«È rimasta molti giorni in agonia, le ha sparato il 18 maggio, è morta il 4 luglio. Le ha sparato quattro colpi all’addome».
Roberta Gallego fa il magistrato a Belluno, ma è anche scrittrice, conferenziera e tra i temi che frequenta con passione c’è quello della violenza sulle donne. Tra pochi giorni, il 25 novembre, ricorrerà la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, istituita dall’Onu nel 1999.
Sabato 22 lei terrà un’orazione civile a Cortina d’Ampezzo, alle 20.30 all’Alexander Hall. Si intitola «L’omicidio Baldovin: il dovere della memoria». Avvenne quasi 25 anni fa, un femminicidio particolarmente efferato scuote la nostra tranquilla provincia di Belluno. Lo considera un caso ‘‘esemplare’’?
«No, in realtà non è questa la ragione che mi muove. L’origine di questa mia iniziativa scaturisce dal fatto che in procura chiacchierando mi sono resa conto che pochissimi ricordano. Mi ha mosso il dovere della memoria più che un’esemplarità che non vedo. Raccontare non è riparatorio, però è doveroso. Si dice, no?, che una persona muore quando anche l’ultimo dei suoi familiari, dei suoi affetti, di chi l’ha conosciuta muore o non è più in grado di ricordarla».
In questo caso c’è il desiderio di socializzare la vicenda, come comunità…
«Sì, l’idea è di raccontare per ricordare questa donna, ma anche per comprendere come si è evoluta la situazione giuridica e giudiziaria in vent’anni».
Allora, ci dica: chi era Annalisa Baldovin?
«Annalisa Baldovin era un’imprenditrice, una quarantenne molto bella, snella, sportiva, molto attiva, impegnata nella sua vita sociale, nella sua vita professionale; era titolare di una ditta, la Tecnocolor di Tai di Cadore. Era separata, con un figlio, un bel nucleo familiare molto coeso e compatto, amici, divertimenti, il gatto, la montagna, era una persona che aveva una vita piena».
Vita piena, interrotta. Non bruscamente, perché in realtà le avvisaglie erano state molte.
«Le morti sono tutte brusche. Interrotta dopo mesi di quello che oggi definiremmo uno stalking, ovvero il reato di atti persecutori, che all’epoca non esisteva come figura paradigmatica del codice».
Quando è stato introdotto?
«È stato introdotto 8 anni dopo la morte della Baldovin, nel 2009, ma certamente non a causa dell’eco mediatica e della polemica che è scaturita dopo la sua morte. I toni furono molto alti, per ciò che si ritenne non essere stato fatto adeguatamente dalle forze dell’ordine e della magistratura. Ci fu una campagna mediatica che diede eco al disappunto politico che si registrava in provincia, e anche alla rabbia dei familiari, perfettamente legittima».
Questa donna realizzata, giovane, incappa in una persona che… si fissa.
«Incappa in un desiderio irrealizzato, un desiderio che implode, che si fa ossessione e si fa rancore, rabbia e vendetta».
Quell’uomo la voleva; voleva avere una relazione con lei.
«Direi che è più complicato di così. Quest’uomo riteneva in qualche modo di averla avuta e di non possederla più, perché il fantasma di una relazione – nella realtà dei fatti mai esistita – lo abitava. Come spesso accade a soggetti di questo tipo, si era convinto che fosse stata la sua realtà». (…)
Sul numero 45 dell’Amico del Popolo “di carta” del 13 novembre 2025, in distribuzione questa settimana (su abbonamento, in edizione digitale e in edicola), puoi leggere tutta l’intervista a Roberta Gallego.
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1 commento
Rita S.
Ricordo benissimo la vicenda. Da poco tempo con mio marito ci eravamo trasferiti in Cadore, e l’accaduto ci lasciò basiti ed amareggiati, perché sembrava proprio la “cronaca di una morte annunciata”.
Tornando a quei tempi, mi è tornato in mente che poco prima era successo alla figlia di nostri conoscenti, per rispetto mi fermo. Ma è stato veramente molto brutto.