Rimasero senz’altro piacevolmente stupiti tutti i cadorini che ebbero la ventura di leggere l’articolo del Corriere della Sera del 9 agosto 1932 firmato da Eugenio Zoja e dedicato all’inaugurazione, avvenuta il giorno prima, della casa di Tiziano a Pieve di Cadore, finalmente restaurata e valorizzata. In esso si plaudiva a ciò che essi avevano saputo fare per onorare la memoria del maestro, prima con il monumento di Antonio Dal Zotto in piazza nel 1880 e poi appunto con la casa natale, mentre i veneziani nulla avevano mai fatto per la casa di Tiziano “ai Biri” presso le Fondamente Nove (“trascurata, disonorata e con il giardino distrutto”) e l’unico monumento che gli avevano eretto era quello funerario “e tanto brutto” nella basilica dei Frari. La sferzante critica arrivava al punto di invitare i veneziani ad “andare a imparare a Pieve”. Una bella rivincita davvero!
In effetti i cadorini per tre secoli erano rimasti in debito con il loro grande pittore, ma col monumento di Dal Zotto e soprattutto con la conclusione del restauro della sua casa natale nel 1932 seppero recuperare il ritardo loro rimproverato per tanto tempo da italiani e stranieri. Che vergogna, dicevano tutti, presentare agli ospiti un’abitazione così umile e malmessa, plagiata da aggiunte e rifacimenti posteriori e per di più offesa dalla grande insegna del “barbitonsore” che vi teneva il suo esercizio e da un vicinissimo garage.
Non fu facile la via del riscatto, tanto che ci vollero 10 anni e tutto l’impegno dell’ingegner Giuseppe Palatini per arrivare ad un accettabile compromesso tra la ricerca dell’originale a tutti i costi e il rispetto dei sedimenti lasciati dal tempo, tra chi voleva il vero assoluto e chi preferiva invece una ricostruzione analogica, a immagine e somiglianza della tipica casa cadorina del tempo o giù di lì.
Era stato anni Giovanni Gentile, ministro della Pubblica Istruzione nel primo governo Mussolini, ad avanzare la proposta ufficiale di riconoscere alla casa la dignità di monumento nazionale, titolo divenuto ufficiale con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia del 12 gennaio 1923. In verità si trattò di un doppio riconoscimento, che riguardava sia la casa di Tiziano a Pieve, sia la casa di Vittorio Alfieri ad Asti, quella sì un vero palazzo.
I lavori furono affidati all’ingegner Giuseppe Palatini, figlio di Michele, avvocato e deputato al Parlamento nazionale, dove si batté strenuamente per la ferrovia Belluno-Calalzo e per i diritti dei lavoratori, soprattutto boscaioli. Fu davvero arduo il compito assegnato a Giuseppe, che visse un profondo dissidio interiore, soffrendo, lui per primo, il dilemma inquietante tra vecchio e nuovo, tra l’originale ormai sommerso e le aggiunte posteriori, pur nobilitate dalla vita e dalla storia di parecchie generazioni: un conflitto che il pronipote Francesco Chiamulera ha saputo narrare con maestria teatrale nel suo “Il sogno di Giuseppe”, presentato a Cortina nel 2019 ed ora riproposto.
Il regista dell’intera operazione fu Corrado Fabbro (1883-1974), avvocato, studioso di Tiziano e per tre mandati presidente della Magnifica Comunità. Egli non si proponeva solo l’obiettivo del restauro della casa, ma andava ancor più in là, prefigurando in essa una fondazione, da lui definita “santuario”, centro propulsore di studi ed eventi, oltre che scrigno di memorie e di opere d’arte.
Dopo tante discussioni e problematiche varie, tra cui perplessità e critiche sollevate dal Soprintendente Gino Fogolari, finalmente si arrivò all’inaugurazione della casa restaurata, fissata per il 7 agosto 1932. Sebbene Re Vittorio Emanuele avesse declinato l’invito, fu una cerimonia solenne e partecipata, durante la quale la relazione ufficiale fu tenuta da Ugo Ojetti (1871-1946), in rappresentanza della Regia Accademia d’Italia.
Da allora è trascorso un secolo e in questo lasso di tempo si sono resi necessari ulteriori interventi, grandi e piccoli. Nel 1934, per esempio, in seguito ad un finanziamento di 30.000 lire fatto pervenire al prefetto di Belluno Bonsembiante, la Magnifica Comunità poté attivarsi per ottenere un arretramento e delle migliorie al vicinissimo edificio di proprietà privata, che, adibito ad autorimessa, opprimeva l’intera scenografia, ma bisognò attendere l’autunno del 1953 per arrivare ad una sua parziale demolizione e al conseguente arretramento della facciata.
Il resto è storia recente, anzi recentissima. Nel mese di ottobre 2024, nell’ambito del progetto Interreg VI-A Italia-Austria 2021-2027 “Musei per tutti tra innovazione e tradizione”, con il sostegno anche di Cortina Banca, è stato avviato un delicato intervento, resosi necessario dopo che indagini strutturali preliminari avevano evidenziato alcune criticità, in particolare un cedimento localizzato nella zona della cucina, proprio in corrispondenza del larin, fulcro dell’abitazione tradizionale.
In accordo con la Soprintendenza, si è provveduto quindi ad un lavoro di consolidamento in grado di garantire la stabilità dell’area e nel contempo è stata eseguita una pulizia totale degli intonaci interni ed esterni, nonché delle travi in legno, operazione mai eseguita prima dalla riapertura del museo avvenuta quasi un secolo fa: un intervento che ha restituito agli ambienti l’aspetto originario e che offre una rinnovata esperienza di visita. Il restauro ha compreso pure il rifacimento dell’impianto elettrico e l’inserimento di sistemi di illuminazione museale a basso consumo, per migliorare la qualità e la fruizione degli spazi espositivi e contenere i costi di gestione. Si è voluto inoltre potenziare la sicurezza del bene per poter ampliare la possibilità di ospitare opere e oggetti di valore storico culturale nella massima sicurezza.
Ne sarebbe contento anche il buon Celso Fabbro, vedendo che la casa ha tutte le carte in regola per divenire sul serio quel centro propulsore di studi ed eventi che lui stesso aveva preconizzato.
Per raccontare la lunga storia di questo edificio caro a tutti coloro che amano la storia e l’arte è stata preparata una nuova guida, che sarà presentata venerdì 28 novembre, alle ore 17.30, presso la sala CoSmo di Pieve di Cadore, dove si terrà anche lo spettacolo teatrale di Francesco Chiamulera “il sogno di Giuseppe”, dedicato al travaglio morale e culturale vissuto dall’ingegnere Giuseppe Palatini nell’esecuzione del restauro affidatogli quasi un secolo fa.
Walter Musizza



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