C’era molta attesa per il convegno internazionale di Rete Montagna intitolato «Confini di carta, sfide identità e politiche per la montagna che cambia», che si è tenuto dal 24 al 26 novembre presso l’Università IULM di Milano, con l’organizzazione di Fondazione G. Angelini, Convenzione delle Alpi, CAI centrale, Fondazione Dolomiti Unesco, Associazione dei Geografi Italiani e di molti altri enti ancora.
Il programma prevedeva quattro sessioni, intitolate rispettivamente «I cambiamenti degli ecosistemi e delle loro componenti», «Migrazioni verticali e nuove forme di restanza nella metromontagna italiana: attraversamenti, insediamenti, risorse e pratiche di appropriazione», «Nuove economie per una montagna produttiva» e «Montagne, confini e sconfinamenti. Prospettive di policy tra confitti locali e strategie condivise». Una tavola rotonda finale, intitolata «Confini che cambiano, modelli di governance efficace e condivisa», è stata moderata da Davide Pettenella.
Ai lavori hanno partecipato oltre trenta autorevoli studiosi, tra i quali lo stesso Pettenella, attuale presidente di Rete Montagna, nata nel 2000 a Belluno per raccogliere, coordinare e divulgare il patrimonio culturale delle varie esperienze associative, il sociologo Andrea Membretti, il geografo Mauro Varotto, l’economista forestale Marco Marchetti, l’antropologo Pier Paolo Viazzo, gli scienziati Lea Hartl (Innsbruck) e Lorenzo Ciccarese dell’ISPRA.
«Come segretaria di Rete Montagna – ha detto Ester Cason – posso dire che è andata molto bene, sia per i contenuti che per la partecipazione, con una significativa presenza di studenti della IULM, con una media di 150 presenti in sala. Il merito del successo va attribuito all’organizzatrice in loco Monica Morazzoni».
Questo il commento di Mauro Pascolini, già presidente di Rete Montagna e geografo dell’Univ. di Udine: «Troppo spesso la montagna viene vista come un territorio non economicamente produttivo se non solamente in chiave turistica. La montagna da sempre invece è al centro di una fitta rete di relazioni e di traffici non solo intervallivi, ma pure e spesso, in chiave determinante, con la pianura e con i centri forti del fondovalle e del pedemonte, con un intelligente uso delle risorse agrosilvopastorali accompagnato dalla produzione di prodotti legati alla trasformazione delle materie prime o alla innovazione tecnologica. Ne sono un esempio nelle Alpi Orientali l’occhialeria nel Bellunese o l’arte tessile in Carnia, solo per citarne due dei tanti che si potrebbero indicare. E oggi alcune iniziative nelle aree, come quella delle montagne friulane e bellunesi, non del tutto colonizzate dalla monocoltura turistica, stanno offrendo nuovi interessanti esempi legati alle potenzialità del digitale e del lavoro a distanza. Negli interventi e nel dibattito si è sviluppato un percorso che ha analizzato sia la situazione del passato, con l’intervento dello storico Giacomo Bonan, che ha analizzato il ruolo della risorsa legno nella transizione forestale tra Otto e Novecento mettendo in luce l’evoluzione delle pratiche del passato, come la fluitazione lungo la Piave, e dimostrando come ancor oggi il legno sia una risorsa fondamentale per la montagna. Viviana Ferrario, geografa IUAV, ha descritto la situazione dell’agricoltura, in particolare nelle Alpi Orientali, con alcuni casi studio in Comelico, Val Belluna, Canal del Ferro e Val Canale, mettendo in luce i nuovi trend che giovani agricoltori stanno mettendo in essere e come cambiamento climatico stia modificando sia i modelli colturali che l’altimetria delle coltivazioni, in particolare della vite. Il ricercatore EURAC Philipp Corradini e il prof. Alberto Bramanti dell’UniMi, hanno invece portato esempi di un turismo sostenibile ed il quadro emerso è quello di una montagna vitale, che, specie nelle aree più periferiche, sta perseguendo nuovi percorsi di sviluppo, dimostrando di essere produttiva e luogo di sperimentazione di nuove economie».
I problemi della nostra provincia sono ben noti anche ad Andrea Membretti, che insegna Sociologia del Territorio all’Università di Pavia e Milano-Bicocca. Questo il suo commento: «Un risultato della mia sessione è stato quello di presentare una disamina del tema delle migrazioni verticali dalla pianura o città, della mobilità residenziale verso la montagna, a partire dall’inquadramento di Pier Paolo Viazzo sul passaggio epocale dall’emigrazione del passato all’immigrazione recente, con esempi di nuove forme di mobilità residenziale e con dati recenti sulle nuove forme dell’abitare la montagna (– 3 il saldo naturale + 20 quello dell’immigrazione). È stato portato pure l’esempio degli spazi ibridi di comunità in Val d’Aosta con recupero del patrimonio immobiliare dismesso, progetto facilmente replicabile in una provincia come quella di Belluno, che ha sete di alloggi per lavoratori. La montagna alpina ed appenninica è oggi un autentico campo di sperimentazione dell’abitare, anche per il fenomeno dei migranti poveri o rifugiati, che, se integrati soprattutto nel modello familiare, possono rappresentare un fattore di crescita per la comunità. Urge comunque analizzare il fenomeno dei movimenti di popolazione con nuove metodologie e alla luce di nuovi indicatori rispetto alla semplice residenzialità anagrafica: non bastano i dati ISTAT, andrebbero considerati altri elementi, ad esempio l’uso dei cellulari, delle strade-autostrade, del consumo energetico nelle abitazioni, ecc.».
Questa infine la riflessione di Davide Pettenella, studioso senior presso il Tesaf dell’Università di Padova: «La montagna italiana si è profondamente diversificata in termini di dinamiche demografiche e migratorie, sviluppo del settore turistico, tenuta dell’agricoltura, vulnerabilità degli ecosistemi, adeguatezza delle reti infrastrutturali e dei servizi sociali. In questo contesto non ha molto più senso dividere i territori di montagna da quelli di pianura solo per criteri altimetrici e di pendenza, come ipotizzato dalla nuova Legge per la Montagna (131/2025). Bisogna tener conto di molti altri fattori e attingere a molte altre politiche, come quella delle aree interne, dello sviluppo rurale, della tutela della biodiversità, fino a quella forestale, energetica e climatica, che attivano fondi anche per territori montani e hanno, nel loro complesso, molta maggior capacità di incidere sulle terre alte. Il problema fondamentale è coordinare queste politiche perché operino in maniera sinergica e selettiva rispetto ai diversi problemi e alle potenzialità dei territori di montagna».
Walter Musizza





Seguici anche su Instagram:
https://www.instagram.com/amicodelpopolo.it/
