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La parola tafanario è molto diffusa nelle nostre parlate, anche in senso figurato per designare un oggetto grosso e ingombrante. Ma il suo vero significato è «sedere», «deretano». A riprova della sua popolarità, apriamo due dei numerosi vocabolari dei dialetti bellunesi: nel dizionario dell’auronzano di Ida Zandegiacomo De Lugan troviamo la voce tafanario (plurale tafanarie), scherzoso, «grosso deretano», con la frase d’esempio no te vede che tafanario che te as?, tradotto gentilmente «Non vedi che fianchi grossi che hai?»; nel vocabolario agordino di Giovanni Battista Rossi c’è tafanari(o), «deretano, sedere voluminoso» e per metafora qualcosa di grosso e ingombrante, perfino «gozzo», che fuoriesce (varda chel tafanari che sbolifea fora).
È parola molto presente anche in altri contesti romanzi, come nel francese e nello spagnolo. Il Dizionario etimologico italiano ricorda, tra le altre forme, lo spagnolo tafanario, il provenzale tafanari. In Italia ne viene anche il milanese furbesco taf, «sedere». Però il Dei la considera una voce gergale; un po’ strano che sia così, vista la grande diffusione. Altri pensano venga dal fastidioso tafano, perché punge il posteriore degli animali, ma a me sembra veramente debole come ipotesi.
E dunque mantiene tutta la sua forza la proposta di Giovan Battista Pellegrini che anche lo scherzoso tafanario, come molte parole italiane e neolatine, venga dall’arabo. Probabilmente all’origine c’è la voce tafr che, spiega il glottologo agordino, voleva proprio dire «culo».
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Molti studi sono stati pubblicati sulle parole che vengono dall’arabo e che compaiono nell’italiano e nei nostri dialetti. Ma il riferimento più importante (sul quale si basa anche questa nostra rubrica «Ma parlo arabo?») è costituito dai due volumi «Gli arabismi nelle lingue neolatine con speciale riguardo all’Italia», opera che porta la firma del glottologo agordino Giovan Battista Pellegrini. La pubblicò nel 1972 per Paideia Editrice Brescia, con una dedica: Alla memoria di mio padre dr. Valerio Pellegrini, nato a Lozzo di Cadore nel 1879 e morto a Cencenighe Agordino nel 1958. I Pellegrini erano una famiglia di farmacisti, originaria di Rocca Pietore, che per lavoro si spostò in Cadore per poi tornare in riva al Cordevole.
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