Fino al 12 febbraio 1956, quando venne inaugurata la nuova Parrocchia dedicata all’Immacolata, affidata ai Padri Cappuccini, la nostra collocazione era nell’ambito di quella di Santo Stefano, presso la cui chiesa si svolgevano le funzioni più importanti1. Gli ultimi arrivati nelle fresche case di periferia, trovando soddisfazione presso i frati, si rivolgevano al parroco assai raramente e a Belluno ci si andava solo nelle grandi occasioni come la Cresima, la prima Comunione, il giorno del Corpus Domini e sicuramente per la festa dell’Addolorata che, rincorrendo la Pasqua, cadeva la domenica precedente le Palme.

Alla Madonna dei sette dolori era dedito l’Ordine dei Serviti2 fondatori dell’originale convento3 che era stato dotato di una bella struttura architettonica con chiostro4, chiesa5 e campanile. La popolarità dell’immagine della Madre trafitta dalle sette spade fu tale che ben presto la chiesa divenne meta di continui pellegrinaggi anche per la crescente fama dei miracoli operati dal simulacro della Vergine bellunese, ciò al pari di quanto accadde per quelle di Luggau, in Austria, di Petralba nel Trentino e per la ‘Madonna di Follina’, sulla pedemontana trevigiana, tutte caratterizzati da consimili pellegrinaggi rituali6, processioni specifiche e testimonianze copiose di ex voto.
Con l’aumento della massa dei Devoti e per l’intensificarsi dei pellegrinaggi in visita alla Madonna della chiesa di Santo Stefano, i Serviti trasformarono la loro sagrestia in una Cappella dedicata all’Addolorata7 e dal lontano 17168 il momento cruciale della giornata è quello della processione solenne che si celebra nel pomeriggio. Non si sa per quale grazia ricevuta, i portantini della nostra Madonna vengono ogni anno, a piedi, dalla valle del Vajont9.

Li ricordo perché mi facevano impressione mentre aspettavo che si caricassero sulle spalle il baldacchino; erano cappati, tutti vestiti di nero, con un cappuccio abbondante sulla testa10. Era la terza volta che facevo il chierichetto e mi sentivo pronto per l’ennesima processione, che fu anche l’ultima in quel ruolo. Già mi credevo un veterano specie dopo l’involontaria scoperta di una particolarità della Madonna la cui imponenza e severità mi avevano colpito dal primo momento, specialmente il grande cuore dorato trafitto e il manto di velluto nero che la gente consumava a carezze di speranza e baci11. Di fatto mi ero trovato per errore in sacrestia durante la vestizione e avevo intravisto che la maestosa statua consisteva in un piccolo busto artistico sistemato su una intelaiatura di legno adatto alla vestizione di una apparente figura completa12.

Anche le mani erano posticce e vederle su un vassoio mi aveva davvero impressionato. Alcune pie donne si accingevano all’operazione avendo preparati corpetto, camicia, veli, manto, gioielli tutti perfettamente rinnovati e stirati per l’ennesima avventura. Sapendo d’essere in fallo, avevo percorso la stanza col volto rivolto al mobilio, ma è come avessi avuto gli occhi sul retro della testa. Questa cosa non l’ho mai raccontata prima d’ora valutandola segreto clandestino.

Ricordo comunque che noi chierichetti eravamo davanti, assieme al Gonfalone della Parrocchia dei SS. Martiri Stefano e Biagio13. Seguivano altri gonfaloni, tra cui quello di Don Bosco, poi i Combattenti e Reduci di Guerra, quindi i pompieri col baldacchino e la statua di Santa Barbara, poi gli Alpini e i cantori; quindi il clero con i tre sacerdoti finali scortati sotto un baldacchino; quello di centro reggeva un reliquiario contenente un frammento del velo della Vergine14. Seguiva la statua della Vergine scortata dai carabinieri e dietro poi la folla dei fedeli15.

Mia nonna, che sembrava molto credente, raccontava che un tempo i contadini traevano auspici sul futuro andamento agricolo in funzione delle condizioni meteorologiche coincidenti con la processione.
La devozione all’Addolorata si manifestava poi in tutte le occasioni di grande pericolo o di gioia cittadina a titolo di propiziazione o ringraziamento16.

Era pure usuale, per la Festa dell’Addolorata, fare il canpanò, un concerto di campane in cui, al normale tiro a corda, si sostituisce direttamente la mano dell’uomo. Lo eseguivano compagnie di affezionati campanari che competevano a gruppi di tre nei tipici carillons. La tradizione rimane superstite anche oggi anche se il suono è fatto a singolo o in abbinata, con delle melodie semplificate17.

La festa religiosa è affiancata da una grande festa popolare, un tempo nota come sagra de i fis-ciòt o de i subioti. Questo nome deriva dall’usanza, quasi smessa, di regalare alle ragazze e ai bambini i tipici zufoli di terracotta a forma di uccellino o galletto18, noti in tutto il Veneto con l’altro nome di cuchi. Gli oggettini, divertenti e poco costosi, usati come omaggio ‘amoroso’ dai giovanotti alle moroʃe, erano venduti dai numerosi ambulanti che si appostavano nei pressi del Santuario per combinare buoni affari grazie alla continua affluenza della gente. Non è databile con precisione il periodo natale della sagra; probabilmente essa ha preso consistenza nel tempo superando l’intento iniziale di soddisfare le esigenze del pellegrino in vitto, bevande e piccoli oggetti inerenti il culto. La caratteristica si mantiene ai giorni nostri con le bancarelle di bozolà, di frutta secca e zucchero filato.

Ai dolciumi si sono affiancati i giocattoli, un tempo poveri e tipici, come i già citati fischietti o le palle di stoffa variopinta, piene di segatura, da tirare e ritirare con l’elastico, che erano la mia passione. Dagli anni Cinquanta trionfano i palloncini volanti che generano enorme felicità nei più piccoli e qualche lacrima quando la distrazione li lascia scappare verso il cielo, sopra i tetti di Belluno. Oggi come ieri, nonostante quasi tutto sembri cambiato.
Attorno agli anni 1930-35 fu affiancata, alla Festa dell’Addolorata, la Pesca di Beneficenza, con l’intento di procurare soldi per il rifacimento del pavimento della Chiesa. L’iniziativa, ebbe tale successo, da essere ripetuta fino ai giorni nostri diventando essa stessa tradizione.

A questo avvenimento ho dedicato una delle mie prime poesiole che sarà ripresa in una delle più note canzoni dei Belumat … Baloni, baloni, baloni de tanti colori, par poarét e siori … Fursi pì pa i poaret che in ceʃa, sora l mantèl benedet, i scarga i dolori de ieri, e i cén verd(t)i i pensieri par al sol de doman … na olta a l an! Baloni, baloni… (stavolta nel senso di contaballe).
- La parrocchia è attiva da più tempo ma la dislocazione presso la chiesa di Santo Stefano risale al 1904, consistendo nel trasferimento della sede dalla antica e più piccola chiesetta di San Biagio in Campestrino. La parrocchia è di fatto intitolata a entrambi i Santi e un tempo comprendeva tutta l’area cittadina e di periferia fuori le mura. ↩︎
- In Italia ed in Europa, l’introduzione del culto per la Madonna Addolorata, è legata principalmente all’opera dei Servi di Maria. L’Ordine, sorto nel 1240 a Firenze, fu definitivamente approvato da Papa Benedetto XI l’11 febbraio 1304. ↩︎
- Sull’onda del particolare fervore religioso del periodo tardo-medioevale, supportato da orazioni di predicatori quali S. Bernardino da Siena (1423) e Bernardino da Feltre (1492), si insediarono in Belluno diversi Ordini religiosi (oltre ai Minori Conventuali residenti dal 1289). I Serviti vi giunsero nel 1463 e, nell’ambito della loro specifica dedizione, costruirono il convento de’ Servi di Maria Addolorata. Florio Miari annota nel suo Dizionario-Storico (Miari, Florio. Dizionario storico-artistico-letterario bellunese, Sala bolognese, A. Forni, 1979 (Rist. anast. dell’ed. Deliberali, 1843), p. 150) «…l’abitarono dal detto anno 1463 al 1806, allorquando vennero concentrati presso altro convento in Vicenza, per decreto italico 28 luglio…». ↩︎
- L’elegante chiostro, iniziato nel 1462, in stile gotico, di forma quadrata, con una serie di arcate ogivali e colonne in pietra, ospita attualmente l’Intendenza di Finanza. ↩︎
- La Chiesa dei Serviti venne edificata nella seconda metà del Quattrocento sul luogo di un precedente edificio religioso. La facciata, realizzata in pietra a vista, presenta un portale d’ingresso sormontato da un rosone centrale e da due più piccole aperture circolari. Sul fianco destro dell’edificio si trova uno splendido portale risalente al Quattrocento, preceduto da una gradinata e ornato da statue rappresentanti la Madonna e i protettori della città. Questo portale apparteneva alla scomparsa Chiesa di Santa Maria dei Battuti. Davanti al portale vi è un piccolo giardino (un tempo area cimiteriale) con una fontana cinquecentesca. L’interno della Chiesa è composto da tre navate voltate a crociera e spartite da archi ad ogiva. La Chiesa conserva, inoltre, dipinti di Cesare Vecellio e due angeli, opera di Andrea Brustolon. All’interno della quattrocentesca Cappella Cesa sono custoditi gli affreschi dipinti da Jacopo da Montagnana, l’altare in legno, opera quattrocentesca di Andrea di Foro e la pala realizzata da Matteo Cesa. Cfr. De Bortoli, Gigetto. Vizzutti, Flavio. Moro, Andrea. Belluno : storia, architettura, arte. Belluno, Istituto bellunese di ricerche sociali e culturali, 1984, pp. 76-85. ↩︎
- Il Santuario di Luggau è oggetto di antica devozione da parte degli abitanti in Comelico e Sappada, dei Cadorini e dei Carnielli. I pellegrini del Comelico, tra Marzo ed Ottobre, vi si recavano ogni anno percorrendo a piedi, talvolta anche scalzi, l’intero tragitto. Le pause tradizionali si effettuavano a Silvella, sul Pettorina e al Monte Cavallino ed erano anche occasione di incontro sociale e conviviale. Analogamente nel Trentino, all’Addolorata di Pietralba confluivano i devoti della zona di Livinallongo, dell’Alto Agordino e del Primierotto, che, attraverso un lungo e disagevole cammino per la val di Fassa e per successivi più arditi sentieri, giungevano all’antico Santuario. Il convento di Follina, altra sede dei Servi di Maria, è tutt’oggi meta di pellegrinaggio da parte degli Alpagotti, oltre che dei fedeli di pianura. È memorabile la processione che il Lunedì di Pentecoste arrivava in Follina proveniente, a piedi, dal Bellunese attraverso la sella di Fadalto e dal Cansiglio. Alla Madonna di Belluno giungevano invece i fedeli da tutta la vecchia diocesi della città, dall’Agordino, dallo Zoldano e dal Longaronese, compresi gli abitanti della valle del Vajont, tradizionali protagonisti della festa come portantini del simulacro statuario della Madonna. ↩︎
- L’area ristrutturata, di forma ducale, venne aperta al pubblico nel 1657 con la consacrazione di un altare in legno dorato di stile barocco, e successivamente venne decorata con tele di ottima fattura, quattro delle quali del Frigimelica e due del Lazzarini. Nella nicchia dell’altare si conserva la statua, realizzata nel Seicento da Gianbattista Alchini, ricoperta da un manto di velluto e centro della devozione cittadina. ↩︎
- Il corteo, nominato anche ‘processione dei Dolori’, fu permesso «… dal Vescovo Bembo nell’anno 1715 perché si facesse la terza domenica di Settembre, ma poi, dietro ricerca del Priore Servita Tommaso Zoppi, venne dallo stesso Vescovo, nel 1726, trasportata alla Domenica di Passione…». La statua della Vergine, fissata su un prezioso baldacchino, viene portata attraverso la città scorrendo tra due fitte schiere di folla. Prima della caduta della Repubblica di Venezia la sorreggevano i ‘Confratelli della Addolorata’ al cui seguito venivano il Vescovo, il Podestà, i componenti il Consiglio dei Nobili e i membri delle Corporazioni d’Arte che a loro volta inalberavano i gonfaloni o le statue dei loro Santi Protettori. Le immagini più note del corteo erano le statue di Santa Barbara o ‘dei Bombardieri’ e di San Filippo Benizzi; la prima fa ancor oggi parte del corteo. Una volta raggiunta piazza Campitello ovvero piazza del Papa (attuale piazza dei Martiri), l’Addolorata veniva rivolta verso il Monastero di San Gervasio in gesto di benedizione e protezione di quel convento. Si sa anche che, per brevi periodi nel passato, la processione ha fatto soste in alcune chiese cittadine. ↩︎
- Nell’ultimo secolo, portatori provenienti dalla valle del Vajont (verso la Carnia) sostituirono nella tradizione i fratelli della ‘Confraternita della Addolorata’ ormai disciolta. Essi giungevano a piedi dalla loro terra e passavano la notte della Vigilia all’aperto, accampati di fronte alla chiesa, preparandosi ai riti del giorno successivo. ↩︎
- Un tempo non lasciavano intravedere i volti. ↩︎
- Il simulacro dell’Addolorata viene tolto dalla sua nicchia ed è sistemato, sopra un supporto provvisorio ben addobbato, in centro all’Altare Maggiore, dove il popolo può meglio ammirare l’Addolorata durante le funzioni e toccare in segno di devozione baciandone il manto. Questo, per l’usura provocata dal gesto, si consuma in pochi anni e deve essere sostituito. ↩︎
- La statua, opera dell’Artista Giambattista Alchini detto ‘il Gusella’ (1657), è formata dalla sola testa e dalle mani.
Il supporto interno consiste in un’armatura di tavole di legno, così come d’uso comune un tempo. Il tronco era originariamente avvolto in un grande mantello color viola, mutato poi in bruno e quindi arricchito da una veste di velluto nero ricamata con motivi floreali sul corpetto come pure sull’orlo della gonna. L’immagine porta oggi anche un velo bianco trasparente che riprende nel ricamo gli stessi motivi ornamentali, ed una corona in capo. Sul nero della veste spicca il cuore argenteo trafitto dalle sette spade, i sette dolori di Maria che rappresentano la profezia di San Simeone, l’esilio in Egitto, la ricerca del Figlio smarrito, l’incontro sulla via del Calvario, la Crocifissione, la Deposizione e la Sepoltura.
↩︎ - Raffigurava, su una facciata, la Madonna Addolorata ricamata con fili d’oro e argento mentre sul retro c’era l’immagine di Santo Stefano. Il drappo, che appare ancor oggi di colore rosato, è in cattive condizioni e perciò difficilmente databile. ↩︎
- Che si presume non autentico. ↩︎
- A titolo di cronaca si riporta l’ordine della processione come ci è stato tramandato dal Parroco Nob. Mons. Persicini in data 9 marzo 1856 in un suo scritto: «Il Crocefisso di S. Stefano con due torcie. / Gonfalone di Tisoi / di Libano / di Cusighe / di S. Pietro in Campo / di Bolzano / di Salce / Buon Consiglio del Prà / Oratorio di S. Filippo / M. V. di Loreto / Immagine (statua) di S. Pellegrino / Gonfalone di S. Nicolò di Piave / di S. Pietro /Immagine (statua) di S. Barbara / Gonfalone di S. Martino / del Corpus Domini / di S. Stefano / Militari / Cantori / R.mo Capitolo e Clero / Immagine (statua) di M. V. Addolorata / La compagnia delle donne / Militari / Le altre donne».
Altra descrizione della processione ci è tramandata dal Conte Florio Miari ed è databile attorno alla metà del secolo XVIII «… Si fa dopo pranzo di detto giorno, con l’Immagine della Beata Vergine dei Sette Dolori di Santo Stefano. Passa per le contrade S. Stefano, Piazza della Legna (oggi piazza Vittorio Emanuele), Rialto Nuovo (oggi via Rialto), Mercato (oggi piazza delle Erbe), Piazza del Duomo, Ussolo (oggi la via che affianca Piazza Castello), piazza del Papa (oggi piazza dei Martiri) di ritorno e S. Stefano…». ↩︎ - In un foglio parrocchiale del Marzo 1926 si trovano interessanti annotazioni in tal senso, riferite ai secoli precedenti per cui … Nei periodi di lutto cittadino sia che si temesse per l’incolumità del territorio della Repubblica di S. Marco, sia che si implorasse la cessazione delle perturbazioni atmosferiche tanto dannose per l’agricoltura, il popolo della città, dalle parrocchie di Castion, Bolzano, Tisoi, Libano, Antole, Cadola, Limana, Sedico, Sospirolo e perfino di Zoldo e dell’Agordino, traeva un devoto pellegrinaggio alla Chiesa di S. Stefano per togliervi la statua dell’Addolorata e esporla in Duomo alla venerazione dei fedeli finché il flagello non fosse scongiurato….
E ancora si legge: … Il 9 aprile 1848 con indicibile entusiasmo per la recentissima acquistata libertà, la statua dell’Addolorata uscì per le vie di Belluno adorna della Bandiera Tricolore che le mani di alcune Bellunesi avevano approntato in quella italica primavera: un solo anno dopo la città era nuovamente invasa da uniformi austriache e la Vergine dei Dolori doveva per diciannove anni ancora raccogliere le lacrime e i sospiri dei cittadini della libertà della Patria… ↩︎ - Nel 2010 abbiamo documentato alcuni esempi in video. ↩︎
- Questa è la forma più comune, ma ve ne sono poi altre mille; e se ne trovano in ogni parte del mondo! ↩︎
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