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venerdì 5 Dicembre 2025,

Dopo la «volpona» di San Vito, gli agricoltori li chiamavano «coiòte»

A metà degli anni Ottanta aumentavano gli avvistamenti di sciacalli dorati, non riconosciuti. Nella foto di Carlo Galliani una femmina di canis aureus

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Abbiamo già raccontato qui della prima cattura in Italia di uno sciacallo dorato, a San Vito di Cadore nel 1984, scambiato per una «volpona».

Le voci su questi canidi iniziarono a circolare nell’ambiente venatorio locale, ma la loro presenza veniva interpretata come frutto di rari incroci tra cane (Canis lupus familiaris) e volpe rossa (Vulpes vulpes). In realtà sia per la grande differenza nel numero di cromosomi (78 contro 34), sia per la notevole distanza genetica (valutata in circa 12 milioni di anni) non esiste nessuna possibilità di flusso genico tra questi due canidi.

La cosa, dunque, restava una curiosa leggenda locale senza alcuna spiegazione convincente. La presenza di questi canidi selvatici era comunque diventata familiare agli agricoltori e ai cacciatori della zona, che li incontravano da almeno un paio d’anni. Li chiamavano coiòte o volpi bastardate.

Prima che fosse possibile esaminare campioni, nel mese di agosto 1987 venne abbattuta una grande femmina pluripara. Fu catturata nel corso dei prelievi regolarmente autorizzati per il controllo delle volpi, e venne affidata all’Osservatorio Faunistico della Provincia di Udine, diretto dello zoologo Fabio Perco, con il quale collaboravo per lo studio dei mammiferi dell’Italia nord-orientale.

La grande femmina pluripara catturata poco a sud di Udine nel mese di agosto 1987, verosimilmente la madre dei cuccioli catturati nella stessa zona nel mese di settembre 1985. Da questo campione sono partite le verifiche su Canis aureus in Italia. (Foto L. Lapini)

L’ipotesi che si trattasse di un coiòte nordamericano (Canis latrans) fuggito da qualche area faunistica sembrava poco probabile. La riproduzione di questo animale, infatti, era dimostrata sia dallo stato delle sue mammelle ipertrofiche, certamente utilizzate per allattare, sia dalla giovane femmina di cinque mesi abbattuta nel mese di settembre 1985, ancora conservata nella collezione di un cacciatore di Terenzano, che fu presto possibile esaminare. Il suo studio ha consentito di verificare la giovanissima età dell’animale. Stava finendo di cambiare i denti da latte, cosa che in canidi selvatici di questa taglia si verifica attorno ai cinque mesi di vita. Era dunque certamente nato nella zona. Restava da accertare di quale specie si trattasse.

La prima femmina di Canis aureus nata in Italia fu abbattuta nel settembre 1985 in provincia di Udine. La sua giovane età fu stimata in circa cinque mesi grazie ai canini da latte in avanzata fase di sostituzione, ben evidenti in questa immagine. (Foto L. Lapini)

Preparai la grande femmina in tassidermia, collocandola nelle collezioni teriologiche del Museo Friulano di Storia Naturale che seguivo da anni, ma prima di determinarla intrapresi una serie di rapidi viaggi di studio in diversi musei di storia naturale centro e sud europei, al fine di formulare una diagnosi specifica sufficientemente convincente. Essa andava confermata non soltanto in base alla letteratura scientifica, ma anche grazie al confronto diretto con campioni conservati in vari Musei europei, grazie alla collaborazione di vari colleghi austriaci e sloveni (E. Pucher, F. Spitzenberger, K. Bauer, T. Trilar, B. Krystufek ecc.).

La cautela era particolarmente necessaria. I canidi del genere Canis si incrociano fra loro producendo prole illimitatamente fertile e all’epoca nessuno poteva escludere che un coiòte fuggito dalla cattività avesse messo su famiglia con un cane. La cosa è più volte accaduta in natura tra canidi selvatici e domestici in America settentrionale, con la formazione di piccole popolazioni di imbarazzanti incroci tra coyotes (Canis latrans), cani (Canis lupus familiaris) e lupi grigi (Canis lupus), all’epoca chiamati coydogs da vari zoologi.

Il confronto diretto con numerosi campioni dell’Europa centro-meridionale ha però consentito di formulare una diagnosi sufficientemente robusta. Le dimensioni del cranio, l’angolo temporale, la vistosa intaccatura presente sul bordo anteriore delle ossa nasali e gli inconfondibili caratteri dentari di Canis aureus – tra di essi il vistoso cingulum labiale sul primo molare superiore -, hanno consentito di determinare con certezza la grande femmina pluripara abbattuta nell’agosto 1987.

Le verifiche museologiche mirate a determinare la grande femmina catturata nell’Udinese, contemporaneamente arricchivano di dettagli anche le conoscenze sulla situazione distributiva dello sciacallo dorato nei Balcani e sulle Dinaridi. Un quadro ancora poco noto, ma in evidente evoluzione.

Nel 1952-1953 Canis aureus si era spinto a Nord già fino a Caporetto/Kobarid e negli anni ’80 del XX secolo aveva stabilito caposaldi riproduttivi nell’Istria slovena e croata. La riproduzione accertata nell’Udinese rappresentava il naturale sviluppo di questa espansione areale, allora segnalata da pochissime informazioni.

Si trattava a quel punto di pubblicare la notizia in maniera di informare correttamente il pubblico italiano e garantire la protezione dei nuovi arrivati nel nostro paese.

Autoctoni – perché arrivati con le loro zampe – ma più tardi definiti neonativi, come molti altri invasori post-glaciali della Penisola italiana (come la faina Martes foina, il topo selvatico dal dorso striato Apodemus agrarius, il riccio rumeno Erinaceus roumanicus e molti altri). Così condensammo le conoscenze acquisite nella tarda estate 1987 in un poster che venne presentato tra il 28 e il 30 gennaio 1988 al Primo convegno Nazionale dei Biologi della Selvaggina di Bologna.

Lo sciacallo dorato era diventato fauna italiana.

Allora le foto-trappole erano poco diffuse (erano in gran parte ancora analogiche), dunque la crescita delle conoscenze era affidata alla verifica dell’identità di soggetti investiti dal traffico veicolare e ai pochissimi avvistamenti validati con assoluta certezza. Impresa quanto mai ardua, vista la confusione totale degli avvistamenti tra volpe sciacallo cane e lupo.

Nonostante la povertà delle informazioni disponibili lo sciacallo dorato fu posto sotto protezione integrale nel nostro paese dalla Legge Nazionale 157/92.

La crescita delle conoscenze fu dunque particolarmente lenta e difficoltosa, fino al 1993, quando riuscimmo a pubblicare nuovi dati relativi alla Regioni Friuli Venezia Giulia e Veneto. Scrivendo la nota in parola avevo contemporaneamente cercato di comprendere come mai la specie venisse a volte catturata per errore nel corso dei prelievi di volpi, dato che sembrava in realtà abbastanza facile da riconoscere. Per capire le ragioni di questi sporadici incidenti chiesi ad alcuni colleghi di partecipare ad una battuta di prelievo di volpi sull’altopiano del Cansiglio. Renzo e Gianmaria, rispettivamente Universitario patavino e Funzionario della Provincia di Belluno, accettarono di farmi assistere ad una battuta notturna condotta con il faro. Nel corso della serata fu possibile prelevare soltanto un esemplare, individuato nell’erba alta grazie al faro che ne illuminava gli occhi. Il tapetum lucidum del fondo oculare di questi animali in effetti riflette la luce in maniera evidente e facilita i prelievi. Gli occhi illuminati dal faro, tuttavia, non sempre permettono di distinguere la sagoma dell’animale da prelevare e ciò sembra poter spiegare errori di attribuzione e rari incidenti di prelievo venatorio.

Dopo la breve battuta dimostrativa, ci siamo ristorati in un locale con formaggi di malga e affettati. È stato allora che ho avuto una illuminazione. Per sapere se tra le volpi prelevate in passato ci fossero sciacalli sarebbe stato sufficiente indagare sul loro peso. Il peso medio di Vulpes vulpes sulle Alpi e Prealpi è di 7 kg, con rare punte autunnali di 10 chilogrammi. Lo sciacallo dorato a fine estate pesa già 8 kg ed ha un peso medio di 11 kg. Dare un’occhiata alle tabelle dei pesi avrebbe potuto essere risolutivo.

Così ho chiesto a Gianmaria quale fosse il limite ponderale delle volpi nella zona. La sua risposta, «Oltre 15 kg», ha illuminato la serata.

Eureka! Il record, di 15,7 kg, era proprio il primo sciacallo dorato catturato nove anni prima da Giuseppe Zambelli vicino a San Vito di Cadore. Recuperata la foto dell’animale, è stato possibile aggiungerla alla pubblicazione scientifica già in stampa.

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