La prima persona a parlarmi del fagiolo di Lamon è stata mia nonna, padovana trasferitasi in provincia di Modena subito dopo la guerra: la pasta e fagioli, lei, non la faceva se non trovava i Lamon. Da allora anch’io li cerco sempre e, quando raramente li trovo, li preferisco ai borlotti senza un’origine chiara. Negli ultimi anni però è diventato quasi impossibile trovarli. Il fagiolo di Lamon, infatti, da oltre quindici anni attraversa una crisi profonda. Nel 2012 una virosi molto aggressiva falciò quasi tutto il raccolto. Da allora il Consorzio di tutela lotta per salvare le cinque varietà che compongono questa IGP (Indicazione geografica protetta): lo Spagnolit, in versione bassa e rampicante, lo Spagnol, il Calonega e il Canalino.

Dopo qualche stagione di ripresa, il 2024 è stato di nuovo un anno drammatico. Alla Festa del Fagiolo, in programma a Lamon il 19, 20 e 21 settembre, non ci saranno fagioli in vendita: l’unico modo per gustare questa primizia sarà ordinarla agli stand gastronomici. Le piante colpite dal virus non hanno prodotto e il clima incerto ha rallentato le maturazioni. Perché un tempo i Lamon si trovavano persino nei supermercati e oggi no? Ne ho parlato con Tiziana Penco, presidente del Consorzio, che nel 1993 ha ottenuto la IGP. Il fagiolo di Lamon oggi si coltiva in undici comuni della provincia di Belluno, su una superficie di appena 55.306 metri quadrati: poco più di cinque ettari. Numeri minuscoli che contribuiscono alla fragilità del settore. La Festa del Fagiolo, voluta dal Consorzio insieme alla Pro Loco di Lamon, richiama ogni anno tra i 15 e i 25 mila visitatori con mostre-mercato, stand, laboratori, spettacoli e conferenze. È una vetrina importante non solo per i produttori, ma anche per ristoranti e strutture ricettive locali.
Dal 2013 molto è stato fatto per contrastare la crisi. Il Bean common mosaic virus (BCMV), trasmesso dagli afidi, non è curabile: per contenerlo si selezionano i semi delle piante che resistono o restano asintomatiche, sperando di ottenere nel tempo popolazioni più robuste. Il progetto ha coinvolto prima l’Università di Udine, con il professor Ruggero Osler, docente di patologia vegetale, e poi quella di Padova. Sono state costruite serre screenhouse, dove i semi resistenti possono moltiplicarsi al riparo dagli insetti, e si lavora per rafforzare le difese naturali delle piante attraverso buone pratiche agronomiche.

Nel 2018, grazie al Piano di sviluppo rurale della Regione Veneto sono arrivati 258 mila euro per il progetto Fagiolo di Lamon resistente (Fa.La.Res.). E ad aprile di quest’anno è partito il nuovo programma Fagiolo Bellunese Innovazione Difesa Eccellenza Agricoltura (Fa.Bi.D.E.A.), che ha ottenuto 433 mila euro da investire in tre anni. Università, agronomi e aziende del Consorzio lavorano insieme per incrociare semi sani senza alterare le caratteristiche organolettiche del prodotto e per adattare la coltivazione alle nuove sfide climatiche. Parallelamente, si cercano marcatori genetici affidabili per distinguere l’autentico Lamon dalle frodi, purtroppo frequenti. Ecco perché, quest’anno più che mai, partecipare alla Festa del Fagiolo sarà un atto di resistenza.
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2 commenti
Daniele
Dai su, almeno avete la scusa per alzare un po’ il prezzo….. Personalmente, nel mio campo, erano anni che non facevamo un raccolto così abbondante
Dino
Dove si trova questo campo miracoloso?