Benvenuti!
Mi chiamo Beatrice Mancini e sono una fotografa professionista. Faccio fotografie da una vita: in città, tra la gente, nei musei. Ma soprattutto lassù, dove il respiro si fa corto, la luce cambia in un attimo… e la roccia è viva. Questa rubrica nasce da un’idea semplice: portare l’obiettivo in montagna, ma senza cercare l’immagine perfetta. Cercare, invece, un modo per restare. E per “obiettivo” non intendo solo quello davanti alla macchina fotografica. Intendo anche l’obiettivo più ampio: quello del pensiero, dello sguardo, dell’intenzione. Del resto è curioso, e forse non è un caso, che la parola “obiettivo” venga usata sia per una lente tecnica, sia per indicare una direzione, una meta, persino un senso. È proprio lì che si muove questa rubrica: tra la fotografia come strumento e la fotografia come scelta.
Eccoci, alla prima tappa di questo piccolo viaggio che faremo insieme. Devo dire che ci ho pensato a lungo: da dove cominciare? Le idee sono tante. Tantissime! Ci sono nomi illustri che scalpitano per diventare una bellissima puntata di questa rubrica, ci sono storie dimenticate, luoghi sorprendenti… Ma poi una si è fatta largo su tutte: iniziare da un momento di riflessione. Una riflessione su come la montagna è stata vissuta, vista e raccontata durante l’estate appena passata. Un’estate in cui, forse per la prima volta in modo così evidente, i social media hanno trasformato le vette in palcoscenici. La montagna è diventata protagonista virale: scatti perfetti, folla nei punti panoramici, code per “la foto giusta”. Un fenomeno travolgente, quasi violento, nella sua spettacolarizzazione.
Non è il luogo per esprimere dei giudizi perché la montagna, per come la conosco, non giudica. La montagna, nella sua essenza, invita al pensiero, al tempo lungo, al respiro lento.
E ora che è settembre, e il frastuono si allontana, che i sentieri si svuotano e le valli ritrovano il silenzio, forse è il momento giusto per fermarsi e pensare. Pensare a come fotografiamo, a cosa raccontiamo, e a che posto diamo alla montagna nelle nostre immagini, e nelle nostre vite.
Qualche scatto ”montano” di Beatrice Mancini. L’articolo continua dopo la fotogallery










SETTEMBRE
Riflessioni su un paesaggio fragile, diventato virale
Settembre è il mese in cui la montagna torna a respirare. Le auto scompaiono dai parcheggi improvvisati, i sentieri si svuotano, e il silenzio, quello vero, ricomincia a scorrere tra i sassi e i larici. Ma ciò che resta, dopo l’estate, è spesso un senso di stanchezza. Una montagna ferita, fotografata, consumata. Negli ultimi anni, anche complice il boom post-pandemico del turismo di prossimità, la montagna è diventata scena perfetta per i social. Da luogo di fatica, lentezza e silenzio, si è trasformata in sfondo performativo. Si sale per “fare la foto”, si condivide per esserci stati, più che per essere rimasti.
Ma cosa resta della montagna, quando la fotografiamo solo per mostrarla? Spesso, le immagini non parlano più del luogo, ma di chi le scatta. Raccontano un corpo in posa, un’ombra perfettamente filtrata, un outfit curato più di uno zaino. La fotografia, che potrebbe essere uno strumento di osservazione, rispetto e memoria, rischia di diventare solo prelievo visivo, uno screenshot del reale, senza ascolto.
Questa riflessione non nasce da snobismo o nostalgia, ma da una domanda sincera: Possiamo tornare a fotografare la montagna in modo autentico? Ma forse, in realtà, questa riflessione nasce da qualcosa di più ampio. Un fenomeno che non riguarda solo le montagne, ma il nostro modo, sempre più inquieto, di stare nei luoghi.
Di fotografarli. Di consumarli.
La montagna, in tutto questo, ha solo reso più evidente il cortocircuito. Perché mentre ci aspettiamo folla e confusione sul bagnasciuga, mentre siamo rassegnati alla fila per un aperitivo in riva al mare… in montagna no. La coda al rifugio, il selfie sul ciglio del burrone, l’ingorgo al parcheggio sterrato… tutto questo ci sorprende di più, ci disorienta, perché stride con l’idea che abbiamo della montagna: luogo di silenzio, lentezza, distanze. E proprio quello stridore, forse, ci chiede di fermarci. Di guardare meglio. Di chiederci che ruolo abbiamo, e vogliamo avere, in questa trasformazione.
Settembre ci offre questa possibilità. È il mese della luce bassa, dei silenzi lunghi, delle foglie che iniziano a cadere. È il tempo giusto per provare a fotografare senza prendere, per tornare a guardare con attenzione, a camminare senza postare, a scattare senza dover dimostrare. Non serve salire in vetta. Basta fermarsi un po’ prima, dove il rumore si spegne e il paesaggio torna a essere più vasto di noi.
E a te che mi stai leggendo e magari sei un appassionato sia della montagna che della fotografia, ti invito a fare questo esercizio: scatta una sola foto durante la tua prossima uscita. Una soltanto. Scegli bene quando, dove, e perché. E poi conservala, come gesto d’ascolto, non solo come atto di conquista. Solo per te. E se poi ti va, mettila nei commenti.
Così, un passo alla volta, ricostruiamo un album che assomigli più alla montagna che alla rete.
di Beatrice Mancini
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7 commenti
Luigi Franco Piacentini
Brava 👏 Complimenti 👏
Beatrice Mancini
Grazie mille Luigi, mi fa davvero piacere che ti sia piaciuto questo primo articolo! 🙏
Spero di ritrovarti anche nelle prossime puntate.
Beatrice Mancini
Grazie mille Luigi, mi fa davvero piacere che ti sia piaciuto questo primo articolo!
Spero di ritrovarti anche nelle prossime puntate.
Federica
Non una parola fuori posto. Evocative e preziose, ponderate e vibranti. Esattamente come i tuoi scatti. Eccezionale.
Beatrice Mancini
Grazie di cuore! 🙏 Il tuo commento mi emoziona e mi dà ancora più forza per continuare questo cammino.
Giuseppe
La vacanza in montagna per molti si riduce a quindici giorni a cavallo di ferragosto; per altri, appassionati degli sci, anche i weekend d’autunno-inverno. L’articolo mi sembra un invito a riempire i sentieri anche a settembre, quando l’attività lavorativa è ripresa e le scuole sono state riaperte (una volta settembre era l’ultimo mese di vacanze). Abitare i paesi di montagna ha per me un fascino speciale anche nel resto dell’anno: è lì nel villaggio senza servizi pubblici e senza vita mondana che ognuno ritrova la dimensione più vera di sé. In una fraternità umana e in un silenzio aperti e in colloquio con Dio.
Beatrice Mancini
Grazie davvero per il tuo commento.
Ritrovo nelle tue parole la stessa visione che vorrei esprimere con le mie fotografie: la montagna non come cornice, ma come spazio di vita, capace di riportarci a una verità più essenziale.