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lunedì 15 Dicembre 2025,

Sette anni da Vaia, Luciani: «Le esitazioni dei politici. Decisivo il prefetto»

Nell'anniversario dell’evento che, in queste ore del 2018, devastò le Dolomiti e cambiò per sempre la percezione del rischio climatico in Veneto e non solo, riproponiamo l'intervista al fisico e meteorologo pubblicata sul numero 38 dell'Amico del Popolo del 26 settembre scorso

La tempesta Vaia è stata «un avvertimento». Thierry Robert-Luciani, meteorologo del Centro valanghe di Arabba/Arpa Veneto da due mesi in pensione, lo aveva detto in quel terribile autunno del 2018, e poi l’anno dopo, durante l’intervento fatto al Teatro comunale di Belluno in occasione della visita del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Lo ribadisce anche oggi, ripercorrendo quei difficilissimi e tragici momenti che, esattamente sette anni fa, hanno anticipato la devastante ondata di maltempo.

Fisico di grande rigore, Luciani è noto per aver previsto con sorprendente precisione la tempesta Vaia, l’evento che nel 2018 devastò le Dolomiti e cambiò per sempre la percezione del rischio climatico in Veneto e non solo.

In quel caso sensibilità e coraggio della politica, che lei tanto auspica, possiamo dire che ci sono stati?
«Il connubio tra chi sa e chi deve decidere è stato fondamentale. Questo grazie al prefetto di allora, Francesco Esposito. In quel 2018 tutto è partito in realtà un po’ prima di Vaia. L’ultima settimana di ottobre fu particolare e terribile. Il 24 ottobre si verificò un evento di favonio, con temperature di 29,9 gradi a Belluno, 31 gradi a Feltre e dei venti molto, molto intensi sulle Dolomiti. E poi l’incendio sulle Pale di San Lucano. Io mi occupai di seguire l’aspetto legato alle previsioni meteo relative all’ondata di maltempo che stava arrivando, ma fui anche presente al Centro Coordinamento Soccorsi, attivo all’aeroporto di Belluno. La pioggia cominciò a cadere sabato mattina (il 27 ottobre, ndr) attorno alle 7 e subito si vide che le precipitazioni erano veramente significative. Poi la domenica 28, in serata, ci fu una pausa del maltempo. In realtà i modelli mi facevano capire che la fase più acuta, più intensa e più critica sarebbe stata il lunedì pomeriggio (il 29 ottobre, ndr) e soprattutto la sera, con il passaggio di due fronti e la maggiore vicinanza della depressione. Ricordo che il lunedì mattina, prestissimo, ci fu una prima riunione per capire se davvero il maltempo sarebbe ripreso intensamente nel pomeriggio. E non mancò qualche momento di tensione. Io tenni a ribadire che, se il territorio doveva collassare, sarebbe stato la sera, per fenomeni particolarmente intensi. Purtroppo il mondo politico aveva paura di esporsi, non voleva la chiusura di fabbriche e uffici, ma solo delle scuole. Si sentiva dire: ‘‘Se poi non succede niente, che figuracce facciamo?’’. Il prefetto Esposito, che in cuor suo aveva già deciso, mi chiese di isolarmi e di riflettere. Poi mi domandò: ‘‘Ma realmente cosa sta per accadere?”. Non sapevo come spiegarlo, allora mi collegai a internet e trovai un filmato in cui venivano mostrati i ‘‘downburst’’, raffiche di vento discendente di una violenza inverosimile. Visto il video, il prefetto prese la decisione: chiudere le scuole il lunedì e anche mandare a casa i lavoratori delle fabbriche, allertando Confindustria, oltre alla pubblica amministrazione per la chiusura anticipata degli uffici. Il coraggio del prefetto è stato fondamentale, da soli non si va da nessuna parte».

L’evento Vaia è stato uno spartiacque: ha anche cambiato il modo di fare le previsioni?
«Diciamo che c’è un prima di Vaia e un dopo Vaia. Posso parlare di quel che è cambiato a livello personale: mi sono ritrovato a essere chiamato per delle situazioni tutt’altro che chiare, con la paura di fallire, e i miei errori erano molto meno accettati rispetto a prima. Il tutto ha reso il mio percorso parecchio più complicato».

Luciani, lei lo ha ripetuto tante volte: il rapporto tra uomo e natura richiede un’inversione di rotta. Il cambiamento climatico non è un’ideologia come molti pensano, è una realtà e parte di chi lo nega ha interessi per farlo.
«Di fronte alle ondate di calore attualmente osservate, condivido riflessioni che non sono soltanto mie, bensì della comunità scientifica, oltre che condivise da molti. Proprio la comunità scientifica è preoccupata e chiede di essere ascoltata, visto che quel che sta accadendo era stato previsto dalla stessa 25-30 anni fa. I picchi di calore attuali sono solo le premesse di temperature ancora più elevate in un futuro non lontano. Le estati di oggi, considerate come molto calde, saranno fredde se paragonate a quelle del 2050, tra soli 25 anni. Ma il problema è ben più ampio: il caldo avrà effetti vistosi sulla scomparsa dei ghiacciai. L’assenza di permafrost sarà causa di maggiore frequenza dei crolli sulle cime e sui versanti montuosi, nel nostro caso dolomitici. Per non parlare delle difficoltà di adattamento della biodiversità di fronte alla rapidità del cambiamento. Osserviamo già dei mutamenti nella presenza di specie arboree, nicchie sempre più ridotte per specie animali che vengono spinte via via più in alto e che, entro pochi decenni, rischiano di scomparire dai nostri ambienti montuosi».

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2 commenti

  • Temo che in questa provincia rimarrà inascoltato: qui è sempre più facile piangere e consolare, che convertirsi.

    • Se non le piace la nostra provincia, può sempre fare armi e bagagli e andar via. Invece che star sempre a criticare tutto e tutti come fa nei suoi superficiali commenti.

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