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domenica 7 Dicembre 2025,

I colori del tempo di Fernando Pietropoli in mostra a Bolzano

Il pittore bellunese ci racconta le sue radici alla vigilia di un’importante esposizione.

«Belluno, la mia terra d’origine, con la luce chiara delle Dolomiti, resta la sorgente profonda del mio sentire. Da quasi cinquant’anni vivo in una città, Verona, dove arte, storia, cultura, natura e bellezza si intrecciano e dove ho potuto compiere il mio preminente percorso, oltre che di lavoro, umano e artistico. Ma la memoria felice di quei luoghi rimane”. Così ha risposto Fernando Pietropoli alla prima domanda che gli ho fatto pochi giorni fa, quando, interessato alla sua prossima importante mostra di Bolzano, volevo sapere qualcosa di più sulle sue radici bellunesi. L’avevo conosciuto nel 2024, allorché aveva vinto il premio Lepre Bianca istituito dal Museo Surrealismo Regianini di Costalissoio ed ecco qui il prosieguo dell’intervista fattagli».

Com’era la Belluno della sua infanzia?

«Vivevamo in via Simon da Cusighe e ricordo bene l’asilo di San Biagio in via Rivizzola, diretto dall’ “austera” Suor Pierina, ed altrettanto nitido è il ricordo della mia adolescenza nella parrocchia di Santo Stefano, prima con don Antonio De Cassan, poi con don Rinaldo De Menech e don Luigi de Col. Ho frequentato l’Istituto Calvi e, appassionato di musica, ho militato nel complesso dei Pipistrelli. Dopo gli studi universitari a Venezia, ho lavorato nel settore bancario, in Cariverona ad Agordo».

Mantiene quindi sempre un rapporto con la sua città natale.

«Anche se non vi ritorno spesso come vorrei, nutro per essa un vivo affetto. Belluno mi richiama alla memoria anzitutto la musica e la figura di mio fratello Lamberto, che è stato fondatore e direttore del locale Coro Minimo, oltre che del Coro ANA di Roma: grande armonizzatore del canto popolare, egli vive nelle voci delle persone amiche che nei cori d’ogni luogo gli rendono testimonianza d’affetto e di memoria».

Poi mi risulta che lei abbia uno speciale legame con il Cadore.

«Sì, ho rapporti di memoria risalenti a quando ero bambino, perché a Domegge vivevano mia madre Evelina Cian e mia nonna Rosa, in Via Monte Piana. In Cadore ha insegnato mio padre Oscar, maestro elementare. Ricordo anche come egli amasse dipingerne con maestria le montagne. Ora ho rapporti specie con Natalino Brugiolo, di San Vito di Cadore, già direttore del Coro San Vito, titolare di tipografia che sta editando l’opera omnia dei lavori di Lamberto, al quale era legato da un rapporto fraterno. Poi a Vigo di Cadore è nata mia sorella maggiore Rosaprile, che non manca mai di essere presente a tutte le manifestazioni che riguardano Lamberto».

La scelta artistica nella sua vita è venuta dunque solo in seconda battuta…

«Sì, mi sono dedicato alla pittura una volta lasciato il lavoro, e dunque “a vita inoltrata”. Ciò mi ha introdotto in una nuova e piena dimensione che ha dato significato al mio rinnovato pensare e costruire».

Ma la formazione non è proprio da autodidatta, mi pare.

«Ho frequentato per molti anni l’Accademia di Belle Arti Cignaroli. Ogni linguaggio artistico appreso – all’informale, in tutte le sue categorie, all’astratto, anche espressionista, al figurativo e via dicendo – mi ha offerto un modo diverso di dare forma al mio sentire, per cercare di tradurre in pittura il dialogo tra interiorità personale e mondo visibile. Sono stato poi accolto, quale associato, nella storica Società Belle Arti di Verona, fonte di tanti contatti e stimoli nuovi».

Qual è il genere da lei oggi più praticato ed amato?

«Oggi gli stili che più frequento sono, per predilezione, l’informale, specialmente materico, e un espressionismo astratto, entrambi a componente vorrei dire lirica, a contatto cioè con una sorta di “figurazione impura”, non come rappresentazione ma come eco, memoria o suggestione. Non trascuro peraltro la pittura figurativa strictu sensu».

Suppongo che ogni stile richieda, oltre che una tecnica particolare, pure un approccio emotivo specifico.

«Nell’informale e nel materico mi impongo una tensione costruttiva che sia già struttura, mentre nel figurativo e nelle componenti liriche dell’informale o in ambito di astrazione cerco il riaffiorare di una forma che esprima una sorta di sintesi “poetica” dell’immagine».

Ora è in dirittura d’arrivo, dopo molte altre, un’importante sua mostra a Bolzano.

«Sì, sarò alla Piccola Galleria di Bolzano con la mostra “I colori del tempo” dal 4 al 17 dicembre».

Abbiamo letto quanto la dottoressa Maria Gabriella Morello ha scritto della sua pittura: “Pietropoli racconta, tela dopo tela, il suo osservare, il suo esplorare, il suo indagare con tutte le discordie e le antinomie che la sua personalità, come egli ammette, possiede. Non c’è mai sosta nel combattimento delle sue tinte e tra le asperità delle superfici, non c’è mai rilassamento, come se tutto ricominciasse sempre da capo”. Ma è bello ogni volta resettare tutto e ripartire?

«La dottoressa Morello è accompagnatrice preziosa del mio cammino artistico e umano. Forse non si tratta di “bello”, ma di necessario. Ogni inizio è una frattura, ma anche una grazia, un modo per restare fedeli al movimento della vita, che non consente distrazioni. Ripartire significa riconoscere che ogni forma è solo una tappa momentanea di un pensiero in cammino».

Sempre la dottoressa Morello definisce la sua pittura “postmoderna, contemporaneissima, che pare muoversi tra la materia finita e una infinita, umana ferita, una ferita non preparata ad essere ristorata, né dal proprio passato né dal proprio destino”.

«Quella ferita è la soglia su cui la pittura si compie: il luogo dove la materia si apre all’invisibile e l’invisibile cerca una forma. Non cerco di sanarla, ma di ascoltarne il battito, di cogliere in essa il senso umano dell’incompiutezza. È lì, forse, che abita la verità più viva dell’arte».

Walter Musizza

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