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La prima volta che ho visto Martina era molto spaventata. Stava in una minuscola gabbietta nel negozio di Enrichetto, grande appassionato di animali e pesci esotici.
Gli era stata affidata da un militare che nella primavera 1979 l’aveva trovata – ancora lattante – tra le assi di una segheria di Persereano, a Sud di Udine. La fainotta era stata quindi allattata in casa, con la cura che si riserva a un gattino, coccolata dall’intero gruppo familiare, completo di moglie e figli. La natura giocosa del cucciolo – svezzato nel mese di giugno – aveva in seguito conquistato i suoi ospiti, che l’avevano poi accolta in casa per tutta l’estate. Verso settembre-ottobre, tuttavia, la gestione dell’esuberante bestiola si era fatta così difficile da suggerire di trovarle una diversa sistemazione in vista di un’imminente liberazione.
Enrichetto era stato incaricato di cercare una soluzione ed aveva pensato a me, studente di Scienze Naturali appassionato di Vertebrati. L’animale era fortemente imprintato e prima di liberarlo era necessario capire se sarebbe stato capace di cavarsela in natura. Il progetto era di ambientarla in una grande gabbia all’aperto tra orti e giardini di periferia, per poi liberarla aprendo la porta una volta che si fosse abituata al nuovo ambiente.

Martina si abituò rapidamente ad essere manipolata e ad accettare cibo (uova, carne e frutta dolce) nella sua nuova casa, così dopo qualche mese lasciammo aperta la porta della gabbia, dove ogni sera le portavamo il cibo. Di giorno dormiva in un deposito di materiali in fondo al nostro giardino (fig. 1) e all’imbrunire usciva in esplorazione. Mezz’ora dopo il tramonto l’aspettavamo in fondo al cortile, sperando di intravederla almeno per un attimo prima che si affrancasse dal ricordo della cattività.
Di tanto in tanto spariva per qualche giorno, ma quasi ogni sera veniva a giocare con noi per qualche minuto, per poi consumare rapidamente il pasto frugale a cui era abituata.

Martina è rimasta con noi, libera, per circa dieci anni (fig. 2), morendo nell’autunno 1989 per un’infezione a una zampa probabilmente dovuta al morso di un ratto.
Molte altre faine hanno accompagnato e seguito Martina, perché il Comitato Provinciale della Caccia della Provincia di Udine recuperava spesso cuccioli da divezzare in soffitte e depositi di materiali. Sapendo di Martina, ce li affidava con l’accordo di liberarli a fine estate (fig. 3).

Questi irresistibili cuccioli, tuttavia, non venivano confinati in gabbie, ma dopo lo svezzamento venivano allevati in condizioni di relativa libertà, sperando che si disperdessero naturalmente a fine estate. Non sempre questo accadeva e a settembre-ottobre era talvolta necessario trasportare questi cuccioloni in zone rurali lontane, sicuri che ormai fossero comunque in grado di cavarsela da soli.
La mia passione per i mustelidi deriva sicuramente da questi lunghi anni di esperienza con le faine, i cui cuccioli sono davvero irresistibili, mostrando un’energia e un coraggio davvero fuori dall’ordinario.
Gli antichi romani chiamavano “martes” martore e faine, senza fare particolari distinzioni. Martes, Dio della guerra nel loro Pantheon, era nel contempo simbolo di forza e coraggio, virtù ben rappresentate dall’ardimentoso carattere di questi piccoli animali.
Il naturalista svedese K. Linnaeus (1707-1778) descrisse per primo la martora che abitava i boschi Svedesi (Mustela martes, oggi Martes martes), ipotizzando che fosse distribuita in tutta l’Europa. La separazione delle martore europee in due specie (una di città e una di bosco) risale alla seconda metà del ‘700, quando il giovane naturalista tedesco J. C. P. Erxleben (1744-1777) descrisse la faina Martes foina in maniera convincente.
Si tratta in effetti di due specie simili, martora Martes martes e faina Martes foina, ma con una differente origine. La prima ha un’antica origine euroasiatica, la seconda una più recente origine medio-orientale.
La faina, però, è un invasore post-glaciale del sub-continente europeo, arrivata in Europa negli ultimi 6.000-8.000 anni, al seguito dell’uomo neolitico. Non è ancora chiaro se sia arrivata fra di noi semi-addomesticata sui carriaggi delle prime popolazioni di agricoltori-allevatori oppure se abbia semplicemente seguito l’uomo neolitico, sfruttando le modifiche del paesaggio indotte dalle sue nuove tecniche agricolo-zootecniche, ma ha poi mantenuto una grande antropofilia.
Ancora oggi la specie trova nelle abitazioni umane un surrogato all’originario habitat rupestre, tanto che si riproduce regolarmente soltanto in soffitte, cantine, depositi di materiali sia nelle periferie rurali, sia nelle vecchie strutture edili dei centri storici.
La segregazione ecologica tra martora e faina in tutta l’Europa centro-meridionale si gioca su un delicato equilibrio tra una dieta più (faina) o meno (martora) ricca di rifiuti di origine antropica e una maggiore (faina) o minore (martora) capacità di convivere con l’uomo.
Gli studiosi che hanno cercato di misurare i parametri della delicata segregazione di habitat fra martora e faina in Europa hanno potuto evidenziare ben poche differenze: un maggiore utilizzo di rifiuti antropici nella dieta della faina, che sosta e si riproduce sempre in centri urbani o sub-urbani (soffitte, fienili, depositi di materiali), contro una maggiore carnivoria della martora, che utilizza soltanto rifugi arborei per la sosta diurna e per la riproduzione (alberi cavi e nidi di corvidi). Nelle zone dove manca la faina, tuttavia, la martora si comporta diversamente. Sull’Isola d’Elba, ad esempio – dove la faina è assente (o molto rara) – la martora frequenta anche le soffitte di caseggiati storici, dove sosta di giorno e talora si riproduce.
Fino a circa 6.000 anni fa la martora dominava tutto il sub-continente europeo, ma nel corso del Neolitico l’avvento dell’agricoltura e l’affermazione della pastorizia hanno sconvolto il suo mondo forestale. L’arrivo della faina, legata a questo nuovo mondo di cultura materiale, ha fatto il resto. Gli europei – eredi dei pastori e agricoltori neolitici – sono da sempre accompagnati da questo discreto coinquilino, che regalava morbide pellicce (ma oggi è protetto da numerose leggi e Convenzioni).

Nei Balcani e sulle coste Adriatiche orientali la pelliccia di faina (in croato Kuna Belica) è stata a lungo usata come moneta sonante. Già nel 1018 il popolo di Osor/Ossero – sull’Isola di Cres/Cherso – utilizzò 40 pelli di Kuna (belica) per pagare un tributo dovuto alla Serenissima Repubblica di Venezia. Così, quando la Croazia si è resa indipendente dalla Repubblica di Jugoslavia (1991), si è deciso di sostituire il Dinaro con una nuova valuta, chiamata Kuna (30 maggio 1994), che reca una Martes incisa sulle monete (fig. 4). Nel 2023 la valuta è stata sostituita dell’Euro, ma un monumento alla kuna ricorda il vecchio conio croato nel centro di Osor/Ossero (Isola di Cres/Cherso).

L’opera in bronzo è molto popolare. Raffigura una faina a grandezza naturale, opera dello scultore croato Belizar Bahorić, che l’ha creata nel 1998 proprio pensando alla moneta croata (fig. 5). Si dice che chi accarezza la testa della faina non avrà bisogno di nulla nella vita.
Io l’ho accarezzata.
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18 commenti
Giovanni Morelli de Rossi
Esposizione ricca di cultura, ad ampio raggio, ma anche di insegnamenti nel rapporto uomo e natura
Benito
Ma precisamente mi spiegate a cosa serve questa bella bestiola nel nostro ecosistema
Luca lapini
La faina
Come molti altri predatori onnivori
Controlla le popolazioni di roditori
Che si nutrono dei nostri rifiuti
Rendendo notevoli servizi ecosistemici alla nostra civiltà sprecona
E scusa se è poco
Fabio Ziccardi
Grazie per questa perfetta introduzione a questi due adorabili tipi di animali ! Io ho avuto la fortuna di “interagire” con simpatiche marmotte, vicino all’ingresso delle loro tane sotterranee, in aree sopra Selva Gardena : mi hanno valutato come innocuo, e ci siamo scambiati sguardi di amicizia, sullo sfondo della dolomite del Monte Stevia. Con forti congratulazioni, Fabio Ziccardi
Pietro Piussi
In inglese si dice: fishing for compliments. Testo molto interessante e video straordinario
Luca lapini
Grazie Piero
Effettivamente è difficile descrivere il miracolo gioioso dei giochi di questi cuccioloni senza vederli
Luca lapini
Grazie Piero
Effettivamente è difficile descrivere il miracolo gioioso dei giochi di questi cuccioloni senza vederli
Giuliano Mainardis
Luca sei straordinario non solo come naturalista ma come uomo sensibile e attento alle piccole cose per gli altri , in realtà sono grandi come il tuo amore per gi animali gestito concomitanza, ma soprattutto con il cuore e sensibilità non comune. Mandi, caro amico.
Maddalena
Molto interessante l’articolo e il vodeo … fantastico e divertentissimo. Sono esseri complessi, intelligenti e capaci di divertirsi come di soffrire. Massimo rispetto per loro. E per la natura
Eugenia
È sempre così intensamente vitale leggere queste esperienze di contatto fra creature diverse nella forma ma così capaci di sentirsi a vicenda, di leggersi e di comunicare ….siamo circondati dalla vita ! E da queste esperienze si esce espansi ….
massimo
Da Luca sempre storie meravigliose, ricche di dettagli, precise e poetiche. Un piacere da leggere e da ascoltare. Complimenti
robert
grazie Luca per questo ennesimo racconto istruttivo, immediato, quasi scanzonato ma soprattutto sincero
alla prossima,
mandi
Rita S.
Finalmente sono riuscita a leggere, e ad ascoltare, questa splendida presentazione e storia di un animaletto così simpatico. Le due piccole faine si comportano nel gioco come i gattini. Interessante il loro legame con l’uomo, che mi auguro le rispettino. Anche le origini del nome a suo tempo dato alla moneta croata mi erano completamente sconosciute. Grazie!
SILVIA GIULIANO
Volevo ringraziarla per il suo eccellente lavoro di ricerca e divulgazione che sta portando avanti non solo sulla faina .
I suoi articoli sono sempre illuminanti , di facile comprensione. È un lavoro prezioso quello che sta portando avanti. Grazie ! Silvia
Grazia
Possiedo una vecchissima pelliccetta di faina trovata in un vecchio cassetto di una cascina nella bassa lodigiana…veniva usata come colletto
? Se interessa manderò foto…
LUCA LAPINI
Grazie
Può tornare utile
Soprattutto se corredato di dati
Una fotografia senza dati non serve a nulla
Maurizio Boscheri
Vorrei rispondere al sig Benito che chiede a cosa serve questa simpatica bestiola che e’ la faina, gli intelligenti contadini del passato erano quasi in simbiosi con questi astuti animali perche’ proteggevano le derrate alimentari dai topi, dai ratti e dai serpenti, al contrario dei nostri odierni agricoltori che usano veleni per ogni evenienza, purtroppo con l’uso indiscriminato di veleni ci si ammala e si muore. Le faine amano anche pero’ mangiare le galline ed i conigli ma i veri agricoltori lo sapevano e tenevano gli animali al riparo in gabbie sicure.
Gianfranco Milani
Grazie Luca per averci deliziato con il filmato e le informazioni sulle due specie di mustelidi così simili ma diverse. Gianfranco