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sabato 6 Dicembre 2025,

Chatbot e sensori: così l’intelligenza artificiale dal 2026 entrerà nelle case di riposo ► L’INTERVISTA

Contro la carenza di operatori sanitari e di posti letto nelle RSA. Tre i possibili punti critici: privacy, responsabilità e affidabilità

Ridurre il numero di incidenti sul lavoro, vera piaga dell’Italia del giorno d’oggi. Minimizzare l’utilizzo di acqua nell’agricoltura senza compromettere i raccolti. E ancora colmare l’assenza crescente di operatori sanitari e la carenza di posti nelle case di riposo. Tutti esempi di come con l’intelligenza artificiale, se utilizzata bene, si possano ottenere risultati eccezionali e provare a risolvere le grandi problematiche attuali…

…Ma l’aspetto forse più interessante, anche e soprattutto per il Bellunese, è il terzo: l’utilizzo dell’IA nell’assistenza agli anziani. «Non è una sorpresa: siamo una popolazione sempre più composta da persone sole che necessitano di assistenza. Allo stesso tempo, però, gli operatori disponibili sono in costante calo, e il tempo che ciascuno di loro può dedicare a ogni persona continua a ridursi. Inoltre, è sempre più difficile trovare posto nelle strutture», spiega Canzio Dusi, bellunese d’origine, professore universitario e manager nel campo dell’innovazione digitale.

Dusi, come ci viene in soccorso l’Intelligenza artificiale contro la mancanza di strutture e di risorse umane?
«Nel campo dell’assistenza agli anziani, ci stiamo muovendo in due direzioni principali. La prima riguarda lo sviluppo di sensori in grado di monitorare costantemente la persona, misurando i parametri vitali e segnalando eventuali problemi o situazioni di allarme. Questi strumenti possono essere implementati sia nelle strutture per anziani, dove spesso c’è carenza di operatori, sia direttamente a casa delle persone. Simili sistemi, poi, permettono di svolgere esercizi di riabilitazione cognitiva e fisica con il supporto di un operatore remoto, che guida l’esercizio, stimola l’anziano e, grazie ad algoritmi di machine learning, adatta l’intensità dell’attività in base alla sua risposta».

La seconda direzione è quella dei chatbot. Di cosa si tratta?
«Sono chatbot specializzati, simili a ChatGPT, ma addestrati esclusivamente sulle procedure da seguire nell’assistenza agli anziani.
Strumenti come questi permettono, ad esempio, anche a un operatore con poca esperienza o che non parla bene l’italiano di ricevere indicazioni precise su cosa fare, adattate alla situazione e fornite direttamente nella sua lingua madre. È come avere sempre accanto un collega esperto che conosce a memoria tutte le procedure e le comunica nella lingua dell’operatore».

Quando possiamo aspettarci che queste soluzioni siano disponibili?
«L’orizzonte temporale, è piuttosto breve. Ci aspettiamo, infatti, che già l’anno prossimo queste soluzioni possano essere introdotte sul campo, inizialmente in alcune realtà pilota, soprattutto RSA e centri di riabilitazione. L’adozione nelle case e nelle famiglie potrebbe arrivare subito dopo, anche se dipenderà molto da strategie e finanziamenti disponibili. In ogni caso, dal punto di vista tecnico pensiamo che il prossimo anno sarà quello della vera “discesa a terra” di questo tipo di soluzioni. E speriamo che, nel giro di pochi anni, esse possano diffondersi in modo più ampio».

Tre possibili punti critici: affidabilità, privacy e responsabilità. Partiamo dal primo.
«Nel caso dei chatbot, riusciamo a garantire un’affidabilità praticamente assoluta, superiore al 99%, perché le procedure da gestire sono limitate e il perimetro di competenza ristretto, il che ci permette di eseguire controlli e test semantici molto accurati. Inoltre, abbiamo introdotto correttivi specifici negli algoritmi: ad esempio, se l’operatore pone una domanda che esula dal perimetro di competenza del chatbot, invece di inventare una risposta, come farebbero gli strumenti tradizionali, il sistema è in grado di rispondere chiaramente che la richiesta non rientra nel suo contesto».

Per quanto riguarda la privacy, invece?
«Sul tema della privacy, una delle soluzioni sulla quale stiamo lavorando riguarda l’utilizzo di sensori basati su tecnologia radar, piccoli dispositivi a onde millimetriche che rilevano i movimenti delle persone senza però riprenderle con telecamere. In ogni caso è fondamentale che il sistema sia progettato in modo che la persona monitorata sia sempre consapevole del processo e abbia la possibilità di attivare o disattivare il monitoraggio. Il diritto di scelta deve essere sempre garantito. Questo principio vale soprattutto nei casi più delicati. La tecnologia, infatti, permetterebbe di rilevare segnali precoci di disagio, come indicazioni di una fase depressiva attraverso l’espressione del volto. Tuttavia, senza il consenso esplicito della persona interessata, non si può mandare alcun avviso ai familiari».

E in caso di errori, su chi ricade la responsabilità? ….

Sul numero 48 dell’Amico del Popolo “di carta” del 4 dicembre, in distribuzione questa settimana (su abbonamentoin edizione digitale e in edicola), puoi leggere per intero l’intervista a Canzio Dusi.

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