Accogliamo il contributo, uscito nel blog Sana e robusta costituzione di Gianluca Amadori, giornalista del Gazzettino.
Quando si parla di rispetto dei diritti umani ci si aspetterebbe una discussione seria e approfondita, in modo da consentire ai cittadini di capire cosa sta accadendo, di farsi un’idea al di là della reazione emotiva del momento. Invece, la vicenda della mancata convalida del trattenimento dei migranti spediti in Albania (e fatti ritornare in Italia due giorni più tardi a causa della mancata convalida del loro trattenimento) viene gestita dalla politica nazionale sullo stesso piano del tifo da stadio: pochi elementi concreti su cui confrontarsi e tanti slogan.
Eppure la vicenda è semplice, e di facile comprensione se si ripercorrono i passaggi essenziali.
Con il decreto del 7 maggio 2024 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 105 (GU Serie Generale n.105 del 07-05-2024), il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, di concerto con il Ministero dell’Interno e quello della Giustizia, ha emanato l’atto di aggiornamento periodico della lista dei Paesi di origine sicuri per i richiedenti protezione internazionale di cui all’art. 2-bis del decreto legislativo n. 25/2008, in base alla quale poter rimpatriare i migranti a cui non viene concesso asilo. Fino a pochi anni fa il ministero elencava 13 Stati ritenuti sicuri, ovvero nei quali i migranti rimpatriati non rischiano di essere perseguitati o uccisi; dallo scorso maggio il numero è lievitato a 22. Ciascuno di noi può valutare se tale aumento rifletta l’effettiva situazione di un mondo con meno guerre e situazioni di tensione in atto, oppure la necessità di poter rispedire a casa loro un numero più consistente di persone.
Nel decreto sono citate (ma non allegate) le schede relative agli Stati indicati come sicuri: Albania, Algeria, Bangladesh, Bosnia-Erzegovina, Camerun, Capo Verde, Colombia, Costa d’Avorio, Egitto, Gambia, Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Nigeria, Perù, Senegal, Serbia, Sri Lanka e Tunisia.
L’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) ha esercitato un’azione di accesso civico ed è riuscita ad ottenere copia delle schede (in parte omissate) da cui risulta che nei confronti di 15 Stati su 22, sono indicate criticità, in base alle quali lo stesso ministero li definisce parzialmente insicuri, anche in relazione alla situazione in atto in alcune parti del loro territorio. Valutazioni stilate in base a rapporti redatti da organismi internazionali, tra cui l’Onu, che segnalano violazioni dei diritti dell’uomo, come torture e persecuzioni di oppositori. In questo elenco figurano anche gli Stati di provenienza dei 12 migranti spediti nel centro in Albania: Bangladesh ed Egitto (in relazione al quale conosciamo bene il caso Regeni).
La loro “parziale” insicurezza, fino a poche settimane fa non costituiva elemento ostativo al rimpatrio. Ma, lo scorso 4 ottobre, la Corte di giustizia europea, decidendo nella causa C-406/22 (relativa al caso di un moldavo che la repubblica Ceca vorrebbe rispedire a casa) ha stabilito che “i criteri che consentono di designare un Paese terzo come Paese di origine sicuro devono essere rispettati in tutto il suo territorio”. In sostanza la Corte afferma che un Paese, per essere definito sicuro, lo deve essere dappertutto, e senza deroghe, perché soltanto così il migrante rispedito a casa non rischia di essere torturato, perseguitato o ucciso. E ha precisato che spetta al giudice nazionale valutare se si concretizzino le condizioni per ritenere sicuro lo Stato in questione.
Dunque, più che il Tribunale di Roma, che non ha convalidato il trattenimento dei migranti, si sarebbe dovuta attaccare, semmai, la sentenza della Corte di giustizia europea che rende difficile, se non impossibile, gran parte degli auspicati rimpatri; sentenza che indica ai giudici nazionali un preciso percorso di valutazione. Ma non risulta che dal 4 ottobre vi sia stato alcun commento o polemica nei confronti della sentenza della Corte. Alla quale, nonostante il rilievo innegabile, fino all’altro giorno nessuno ha mai fatto riferimento alcuno.
Ogni critica ai provvedimenti giudiziari è legittima, ma dovrebbe essere sostenuta da argomentazioni ed elementi concreti: il rischio, altrimenti, è di alimentare soltanto un clima di scontro tra istituzioni e di sfiducia da parte dei cittadini. In un momento nel quale non sarà facile spiegare gli ingenti costi sostenuti dall’Italia per realizzare un centro per migranti in Albania, il cui destino potrebbe essere quello di restare vuoto se, dopo la sentenza della Corte di giustizia europea, si riterrà che molti dei Paesi di provenienza non offrono le necessarie garanzie di sicurezza sul fronte del rispetto dei diritti umani.
La stessa Unione delle Camere penali ha definito “senza fondamento tecnico” la polemica scatenata contro i giudici romani. L’organizzazione che riunisce gli avvocati penalisti auspica che “l’Europa detti regole chiare e condivise stabilendo quale Paese possa considerarsi sicuro e quale no, anziché delegare agli Stati membri tale compito e quindi delegare al giudice dello stesso Stato il controllo sulla legittimità dell’esercizio di tale potere.
Non si tratta di questione che possa essere risolta dal Governo per decreto – si legge nella nota diramata dall’Unione delle Camere penali – e sarebbe invece opportuno che la politica si riappropriasse correttamente del proprio ruolo, richiamando alle sue responsabilità l’Europa, senza perdere di vista la tutela dei diritti fondamentali della persona”.
Il link all’articolo sul blog: https://www.ilgazzettino.it/blog/sana_e_robusta_costituzione/migranti_caso_albania_tra_slogan_e_rispetto_dei_diritti_umani-8427665.html
Seguici anche su Instagram:
https://www.instagram.com/amicodelpopolo.it/

1 commento
gregorio
perchè nemmeno l’italia è un paese sicuro, provate ad andare in certe stazioni o luoghi di periferia o in certe città, quindi?
Ho capito dove volge lo sguardo anche l’amico del popolo.
cordiali SALUTI!!!!!!!