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venerdì 5 Dicembre 2025,

Da una Kodak in autogrill alle foto esposte a Tokyo: la storia di Andrea Sagui ►FOTOGALLERY

Il fotografo di Zoppè di Cadore si è raccontato per la rubrica «Storie di chi resta»

«Sono nato a San Benedetto del Tronto perché sono di agosto e lì i miei genitori avevano la gelateria; altrimenti sarei cadorino doc». Ce lo confessa, con una mal celata inflessione ascolana, Andrea Sagui, fotografo di Zoppè di Cadore, mentre racconta la sua storia. Una vicenda che si potrebbe definire in sintesi con il binomio “foto-montagna”. Classe ‘81, Andrea si potrebbe ancor prima descrivere come un uomo innanzitutto radicato al suo paese di origine, Zoppè di Cadore, delle cui peculiarità lavorative e sociali anche lui è in qualche modo figlio. Il legame con il comune più piccolo della nostra Provincia, incastonato con i suoi boschi e le sue borgate alle maestose pendici del “Sass de Pelf”, ha accompagnato la sua vita fin dall’infanzia, soprattutto per la contemplazione del paesaggio. «L’autunno e i giri con mio papà, l’estate e le lunghe passeggiate con mia nonna». Già da piccolo, forse percorrendo il tragitto salendo dalle Marche, ci racconta un piccolo episodio che risulta rivelatore. «Avrò avuto nove o dieci anni quando in autogrill mi hanno preso una Kodak usa e getta per scattare qualche fotografia».

Il ritorno stabile a Zoppè e il lavoro da operatore macchine movimento terra gli hanno permesso di approfondire sempre di più il legame con la montagna, colta nei suoi momenti speciali. «Dopo i primi giri nella vallata mi sono cimentato nelle prime salite sul Civetta e sul Pelmo. In ogni tragitto percorso ritorna la voglia di immortalare alcuni istanti, di cogliere la luce giusta, soprattutto d’inverno. Ovviamente, col cellulare». Comincia così a manifestarsi una passione che lo porta ad acquistare la prima macchina fotografica, utilizzata da autodidatta. Soggetti preferiti sono sempre gli “estremi”: albe e tramonti.

Alcuni scatti di Andrea Sagui

(*l’articolo continua sotto la gallery)

Nel 2015 la prima “impresa”: la salita invernale sul Civetta. «È stata un’esperienza faticosa, ma bellissima che mi ha permesso di immortalare per la prima volta tramonto e alba ad alta quota, cogliendo la luce che infiamma nuvole e rocce». E qui comincia a profilarsi in Andrea qualcosa in più. «Nel 2016 decido di imparare davvero, mi documento e seguo un corso specifico con un professionista. Inizia un po’ alla volta a prendere forma una mia visione di fotografia: trasmettere un’emozione reale partendo da un soggetto, la montagna, colta nella sua realtà, senza ritocchi. Fino al 2020, dunque, solo foto: scatti notturni, serali, mattutini, catturati spesso bivaccando, in ogni stagione, sulle principali cime dolomitiche di Zoldo e Cadore, portando con sé un “armamentario” sempre più corposo. «Giro con due corpi macchina, cinque obiettivi, un drone, un action camera, due cavalletti».

Nel 2021, però, un infortunio lo costringe ad un riposo forzato, un’occasione propizia che lo porta a riflettere. «Finora avevo tenuto tutto per me. In questo tempo da fermo penso a una mostra e la realizzo a Zoppè. È un successo inaspettato». Da qui cominciano i primi contatti e referenze che portano le sue realizzazioni a esposizioni rinomate a Milano, perfino a Tokio, fra poco a Padova e a Parigi; giungono i primi riconoscimenti, un ritorno economico, si delinea una nuova professione. «Ho varie richieste che spesso rifiuto perché non intercettano il mio interesse. Al momento, infatti, mi voglio specializzare sul versante dei video e del lavoro col drone. Per me il soggetto rimane la montagna. Ho in progetto una nuova mostra dentro il mulino di Zoppè di Cadore dove ci saranno delle foto visibili per pochi giorni, nel periodo natalizio e ad agosto». Lasciamo Andrea con una sua ultima battuta che, con un po’ di sana enfasi, riprende il binomio iniziale, percorre la sua vicenda e si apre verso scenari futuri. «Ho la fortuna di abitare qui dove ho coltivato la mia passione per la montagna e la fotografia: posso ritenermi davvero l’uomo più fortunato del mondo».

Roberto De Nardin

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