Il 9 aprile del 1650 un sacerdote bellunese partiva da Varsavia per una missione segreta ideata dalla Serenissima per convincere i Cosacchi dell’Ucraina e i Tatari di Crimea ad attaccare le basi ottomane sul Mar Nero. Venezia da cinque anni era sotto scacco nel Mediterraneo per la guerra di Candia e confidava di alleggerire la pressione turca su Creta favorendo l’apertura di un nuovo fronte.
L’ambasciatore veneziano a Vienna Niccolò Sagredo (che diventerà doge nel 1675) consegnò le lettere credenziali a Alberto Vimina (la nuova identità fornita al sacerdote bellunese Michele Banchi, già parroco di Bolzano Bellunese) che avrebbe viaggiato per un decennio tra Polonia e Lituania, Ucraina e Crimea, Russia e Svezia per cercare di convincere le superpotenze del nord a dare una mano a Venezia.
La missione non ebbe i risultati sperati, ma Alberto Vimina riuscì a tornare a casa e a scrivere un libro con la prima descrizione di quelle terre allora lontanissime. Ritornò alla sua vecchia vita, finendo i suoi giorni nel 1667 come pievano di Pieve d’Alpago, ma ogni volta che arrivava a Venezia un ambasciatore russo, polacco, lituano, cosacco o tartaro la Serenissima si ricordava di lui e lo mandava a prendere perché facesse da interprete davanti al Doge e al Senato veneziano.
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