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lunedì 16 Giugno 2025,

Rendiamo “mobili gli immobili”: case senza famiglia e famiglie senza casa

Possibili risposte al paradosso delle abitazioni: da un lato migliaia di edifici vuoti e in abbandono, dall’altro persone in cerca di soluzioni accessibili e stabili

Il crescente divario tra un patrimonio abitativo disponibile, ma inutilizzato e una domanda reale che fatica a trovare risposte concrete è oggi una condizione strutturale in molte aree del Paese. Una domanda che esiste, ma che si scontra sia con la scarsa accessibilità delle abitazioni, sia con vincoli economici che per molti restano un ostacolo. Questo squilibrio si manifesta in modo particolarmente evidente nelle aree interne, dove emerge il paradosso delle “case senza famiglia” e delle “famiglie senza casa”, come ha sintetizzato l’ex Sindaco di Alghero, Mario Bruno. Da un lato migliaia di abitazioni vuote e in abbandono; dall’altro, persone e nuclei familiari in cerca di soluzioni accessibili e stabili. Il patrimonio esistente fatica a rientrare in circolo. Come connettere quindi ciò che c’è con chi ne ha bisogno? Ovvero, “come rendere mobili gli immobili”, come afferma l’ex Sindaco di Biccari, Gianfilippo Mignogna.

(foto Samuele Romano)

Riattivare il patrimonio abitativo inutilizzato è un processo complesso, che coinvolge fattori sociali, normativi, culturali e infrastrutturali. I tradizionali interventi basati sulla sola leva finanziaria sono spesso inefficaci nei contesti più fragili, dove mancano condizioni di mercato e servizi essenziali come sanità, scuola, mobilità, connettività e lavoro. Serve un cambio di paradigma. La formula classica non funziona. Occorre superare logiche settoriali e adottare una visione integrata, guidata da una regia pubblica e dalla co-responsabilità tra attori locali – pubblici, privati, sociali e civici – per attivare risorse esistenti e generare attrattività sostenibile. L’esperienza di Biccari lo dimostra: Gianfilippo Mignogna, sindaco dal 2009 al 2024, ha promosso una strategia di rigenerazione fondata su partecipazione, capitale sociale e valorizzazione delle risorse locali.

Intervista a Gianfilippo Mignogna – Rivalutare i Borghi di Montagna

Com’era Biccari prima del progetto di rigenerazione? Quali erano i principali problemi?
Prima del progetto di rigenerazione, Biccari era un borgo in difficoltà, con un progressivo calo della popolazione, l’abbandono di molte abitazioni e una riduzione dei servizi essenziali. Gli spazi pubblici erano poco utilizzati e mancava una visione condivisa per il futuro. La comunità viveva una fase di incertezza, con poca fiducia nelle possibilità di cambiamento. Tuttavia, esistevano risorse umane e ambientali ancora presenti, ma poco valorizzate. Il problema principale era la mancanza di fiducia e di iniziativa. L’intervento è partito proprio da qui: provare a rimettere in moto energie locali già presenti, cercando di dare un nuovo senso di direzione.

Qual è la visione che ha guidato la rinascita di Biccari?
La visione che abbiamo costruito insieme alla comunità è stata quella di dare nuovo impulso al paese, affinché potesse tornare a credere in sé stesso. Abbiamo mostrato che anche dai margini si può ripartire, se si smette di guardare solo a ciò che manca e si comincia a valorizzare ciò che c’è. Biccari non aveva bisogno di essere reinventato, ma riattivato: nelle sue risorse ambientali, nella sua storia, nella sua comunità. Abbiamo lavorato perché il borgo tornasse a essere un luogo in cui si può vivere bene, restare, ma anche attrarre nuove persone. L’identità locale è diventata un punto di forza, non un freno. E oggi, quella visione continua a camminare sulle gambe della comunità che l’ha fatta propria.

Cosa significa, in concreto, adottare l’economia della saturazione in un piccolo borgo come Biccari?
Adottare l’economia della saturazione ha significato smettere di inseguire continuamente ciò che non avevamo, per concentrarci su ciò che già possedevamo, spesso inutilizzato o dimenticato. Un esempio chiaro è il bosco comunale: 700 ettari completamente abbandonati. Un giorno dissi: “È come se un paese di mare non avesse pescatori”. Così, abbiamo riattivato la filiera del legno e scoperto che il bosco poteva essere multifunzionale: oggi ospita attività ambientali, sportive, sociali, educative. Ci lavorano non solo forestali, ma anche studenti, agronomi, progettisti, operatori del turismo. Abbiamo saturato una risorsa, e da lì sono nate occupazione, innovazione, comunità. È questa l’economia della saturazione: fare il massimo con quello che c’è, generando valore.

Qual è stata la sfida più grande che avete affrontato?
La sfida più grande è stata cambiare la mentalità. All’inizio c’era sfiducia: si pensava che Biccari non avesse futuro e ogni proposta sembrava irrealistica, anche quella delle case a 1 euro. Ma quel progetto era una provocazione, non un’operazione immobiliare. Abbiamo creato un’offerta accessibile, con case da 1 a 30 mila euro, alcune da ristrutturare, altre pronte, tutte in cerca di una seconda possibilità, proprio come il paese.

Abbiamo scoperto una domanda reale di stili di vita alternativi: non solo case economiche, ma luoghi dove vivere meglio. Così sono arrivate persone dal Sud America, dalla Germania, famiglie e professionisti attratti dalla semplicità e dalla possibilità di costruire qualcosa in un contesto autentico. Ne è nato un processo virtuoso: recupero del bosco, rilancio del borgo, nascita di B&B, ristoranti, produzioni locali. Giovani che oggi fanno pasta, olio, tartufo.

Le difficoltà burocratiche non sono mancate, con norme pensate per le città e poco adatte ai piccoli comuni. Ma la vera sfida è stata garantire la continuità: per questo abbiamo creato strumenti comunitari, come la cooperativa di comunità, così che il cambiamento non dipendesse da una sola persona. La svolta è stata capire che la spinta al cambiamento può nascere dall’interno, valorizzando ciò che già c’è. Così Biccari è diventato un paese attrattivo, vivo, in movimento.

Quale ruolo ha avuto la cooperazione tra pubblico e privato?
La collaborazione con il privato è stata centrale, non come elemento esterno, ma come parte della strategia di sviluppo. Il Comune ha definito visione, regole e strumenti di supporto; cittadini, imprese e associazioni hanno risposto con idee, risorse e investimenti. È stato un gioco di squadra: il pubblico ha creato le condizioni, il privato le ha trasformate in opportunità concrete.

Un esempio è il bosco, valorizzato attraverso partenariati con cooperative forestali e concessioni. Lo stesso approccio è stato adottato per rigenerare spazi abbandonati e avviare nuove attività, come nel caso dei produttori locali. Anche la “casa per la vita”, dedicata a pazienti con neurodiversità, nasce dalla riqualificazione di una scuola pubblica, oggi gestita da un soggetto privato.

La collaborazione si è sviluppata su più livelli – economico, sociale e culturale – dentro un sistema basato su fiducia, chiarezza dei ruoli e obiettivi comuni. In questo contesto, il volontariato ha dato un contributo fondamentale, integrando le politiche pubbliche con un forte valore umano. Questo approccio ha reso il modello solido, adattabile e replicabile.

(foto di Samuele Romano)

Come avete trasformato le case abbandonate in un’opportunità?
Abbiamo trasformato le case vuote da simbolo di abbandono a motore di rilancio. Con il progetto “Immobili che muovono” siamo partiti da un’idea semplice: se non si interviene, il centro storico si svuota, ma i servizi vanno comunque garantiti. Allora perché non offrire spazi inutilizzati a chi cerca una nuova vita? Le case a 1 euro hanno attirato attenzione, ma il nostro obiettivo era un progetto sociale, non immobiliare.

Chi ha acquistato lo ha fatto perché ha trovato un contesto vivo, accogliente, una comunità con cui immaginare un futuro. Abbiamo accompagnato questo percorso con la cooperativa di comunità, semplificando pratiche, fornendo informazioni e attivando reti di accoglienza. Questo ha generato un effetto moltiplicatore: anche i residenti hanno iniziato a ristrutturare, incoraggiati da un nuovo clima di fiducia.

Le case sono tornate a vivere, e con loro i vicoli, le relazioni, la quotidianità. È stato il segnale che il cambiamento era possibile: un incontro tra chi cercava un’altra possibilità e un borgo pronto ad accogliere.

Come avete affrontato la frammentazione della proprietà e avete mai considerato l’uso di leve fiscali per incentivare il recupero degli immobili?
È stata una delle sfide più complesse. Molti immobili del centro storico erano frammentati tra decine di comproprietari, spesso eredi residenti all’estero, in Paesi come l’Australia o gli Stati Uniti, assenti da Biccari da generazioni. Con l’aiuto di tecnici locali abbiamo ricostruito situazioni ereditarie, cercato i proprietari e raccolto liberatorie e procure per avviare gli atti. È stato un lavoro lungo e paziente, in parte ancora in corso. Non abbiamo insistito su leve fiscali come l’aumento delle imposte sugli immobili fatiscenti, che in molti casi avrebbero solo irrigidito le posizioni: per tanti, la seconda casa in centro è ormai percepita più come un peso che come un bene. Abbiamo invece adottato un approccio pragmatico e graduale, avviando ordinanze di messa in sicurezza per trasmettere il messaggio che la proprietà comporta responsabilità.

In che modo la comunità è stata coinvolta e accompagnata nel processo di rigenerazione?
Il coinvolgimento della comunità è stato un processo strategico e graduale. Consapevoli delle resistenze tipiche dei piccoli contesti, abbiamo scelto di partire dagli “innovator”i: persone già attive nell’associazionismo e nella cooperazione, con una visione aperta al cambiamento. Con loro abbiamo avviato i primi passi, per poi estendere il confronto a tutta la popolazione attraverso incontri, laboratori e un lavoro costante sul territorio.

La comunità è stata accompagnata a diventare protagonista del cambiamento, sviluppando fiducia, senso di appartenenza e orgoglio locale. I nuovi arrivati sono stati accolti grazie alla cooperativa di comunità, che ha curato il loro inserimento abitativo e relazionale. La scuola, la parrocchia e le associazioni hanno avuto un ruolo chiave nell’integrazione, valorizzando competenze e relazioni. Senza questo accompagnamento, la rigenerazione sarebbe rimasta fragile. Il vero successo non è stato solo nei progetti, ma nella capacità collettiva di accogliere e trasformarsi. Oggi i giovani della cooperativa portano avanti quella visione: segno che il lavoro culturale avviato ha messo radici durature.

(foto di Samuele Romano)

Che ruolo ha avuto il capitale sociale e relazionale nella rinascita del borgo?
È stato l’elemento chiave, più ancora delle risorse economiche. Le relazioni di fiducia tra cittadini, istituzioni, nuovi abitanti e associazioni hanno generato dinamiche positive, permettendo di costruire un tessuto sociale vivo, capace di collaborare, creare, accogliere e innovare. Il capitale relazionale ha avuto la forza di superare diffidenze, rompere l’isolamento e creare legami nuovi. È da lì che sono nate nuove imprese, iniziative culturali, attività sportive e sociali. Le persone che sono arrivate si sono inserite naturalmente, ciascuna secondo le proprie competenze e passioni, trovando spazi reali in cui esprimersi.

Ricordo, ad esempio, una mamma argentina che ci raccontò di come, per la prima volta, suo figlio fosse stato invitato a casa di altri bambini per fare i compiti insieme. Per lei – abituata a un contesto urbano e più distaccato – fu una vera “botta di vita”. Oggi abbiamo giovani che giocano nella squadra di calcio, lavorano nei bar e nelle pizzerie, organizzano corsi di yoga e di dama. Questo dimostra che senza capitale sociale ogni progetto rischia di restare solo sulla carta. È la rete delle relazioni a trasformare le idee in vita vissuta.

(foto di Samuele Romano)

La comunità ha avuto strumenti amministrativi e legislativi per agire direttamente?
Sì. Abbiamo utilizzato strumenti normativi esistenti e ne abbiamo attivati di nuovi a livello locale. La Legge Regionale Puglia n. 23/2014 è stata determinante: ha permesso di istituire una cooperativa di comunità, rendendo i cittadini protagonisti attivi, non solo partecipanti. Siamo stati i terzi in Puglia a costituirla. Il Consiglio comunale si è qualificato come comitato promotore, offrendo alla comunità un riferimento chiaro e legittimato, che ha favorito una partecipazione concreta. La cooperativa ha permesso di prendersi cura di beni comuni, servizi locali e piccole attività economiche, rafforzando la responsabilità collettiva. Ma serve un passo in più: è necessaria una normativa nazionale che riconosca e sostenga stabilmente le cooperative di comunità in tutta Italia.

Quando è nata la cooperativa di comunità di Biccari, chi la gestisce, quali sono le sue attività e come si finanzia?
La Cooperativa di Comunità di Biccari è nata nel 2017 dall’iniziativa di cittadini interessati a uno sviluppo fondato su partecipazione ed economia locale. È gestita da residenti – storici e nuovi – con il supporto del Comune e una rete di collaborazioni. Opera in tre ambiti: turismo (B&B, alloggi nel bosco, area camper, eventi), sociale e culturale (nido, biblioteca, servizi di telemedicina con la Croce Rossa), agricoltura (olio, terreni recuperati, prodotti tipici). Si finanzia con ricavi, bandi, progetti in partenariato e collaborazioni private. Oggi impiega 5-6 dipendenti fissi, stagionali e volontari. È un attore chiave nelle iniziative locali, capace di dare continuità e solidità ai processi in corso.

(Foto Samuele Romano)

Qual è la lezione più importante che Biccari può offrire agli altri borghi?
La rinascita è possibile anche con risorse limitate, se c’è visione, coerenza e una forte convinzione interna. I borghi non devono imitare le città, ma valorizzare identità, protagonismo locale e capitale sociale. Il cambiamento non arriva da fuori: nasce da chi ci crede e si mette in gioco. Per anni si è pensato che qualcuno dovesse salvarci: un retaggio delle delusioni industriali degli anni ’80-’90, quando si puntava su incentivi e grandi aziende. Ancora oggi si invocano leggi speciali e misure straordinarie, ma molto può partire dal basso, valorizzando ciò che già esiste. È successo a Biccari: nuovi abitanti, imprenditori e investitori sono arrivati non perché mandati, ma perché hanno trovato un paese attivo, accogliente, credibile. “Il cambiamento non si aspetta: si costruisce, insieme”.

Approfondimento metodologico

La formula di produzione

L’economia della saturazione, intesa come uso pieno delle risorse esistenti, trova qui applicazione nel riuso mirato di spazi residenziali dismessi. Non basta però rimettere in circolo case vuote: vanno inserite in una strategia complessiva, un modello integrato che coordina risorse materiali, relazionali e istituzionali per generare valore, rafforzare i servizi e aumentare l’attrattività. Le sperimentazioni fatte hanno reso più chiara questa impostazione, mostrando come la rigenerazione abitativa possa diventare leva concreta di sviluppo solo se parte di una visione sistemica. La formula si compone di elementi interdipendenti, ciascuno decisivo per la riuscita del processo, descritti nella tabella seguente.

Disponibilità di abitazioni inutilizzateRisorsa iniziale da valorizzare con una formula di riuso sostenibile
Governance pubblicaRuolo guida dell’amministrazione locale, che agisce come regista e facilitatore, attivando strumenti di programmazione e coordinamento multilivello.
Cornice giuridicaInsieme di norme e regolamenti che sostengono e facilitano la progettualità.
Domanda abitativaFamiglie, lavoratori, professionisti in cerca di abitazioni
Servizi territorialiServizi esistenti o da attivare che supportano la permanenza abitativa, lavorativa e relazionale nel tempo, per residenti e nuovi arrivati.
Capitale sociale e relazionaleReti di fiducia, comunità accoglienti, cittadini coinvolti e attori intermedi capaci di generare interazioni stabili tra residenti e nuove famiglie.
Coinvolgimento della comunità localePartecipazione attiva degli abitanti nei processi decisionali e nelle fasi di accoglienza, co-gestione e cura dei luoghi.
Connettività digitaleInfrastrutture affidabili che abilitano smart working, coworking, nuove economie e piena cittadinanza nei territori marginali.
ComunicazioneNarrazioni e azioni informative – istituzionali e civiche – che spiegano il percorso, rafforzano la trasparenza e coinvolgono la popolazione.
Coinvolgimento degli attori economiciImprese, professionisti e operatori economici da coinvolgere come co-investitori, gestori, partner e promotori di innovazione.
Leader territorialeFigura strategica – amministratore, facilitatore o attivatore sociale – con visione, perseveranza e capacità di mediazione, essenziale per costruire alleanze, garantire continuità e il successo del progetto.

Questa integrazione sistemica è il cuore della proposta: la casa non è il fine, ma l’accesso a un ecosistema che si rigenera solo se tutte le sue componenti vengono attivate in modo coordinato. Ogni elemento è indispensabile. Non basta sommare interventi: serve farli agire insieme, come mostra l’esperienza di Biccari, dove la coerenza tra visione, attori e strumenti ha reso possibile la trasformazione.

La logica moltiplicativa può generare impatti profondi, ma comporta un rischio: se anche un solo elemento manca o resta inattivo, il processo si blocca. Non bastano un immobile e una normativa: servono governance, fiducia sociale, domanda reale, servizi e l’attivazione congiunta di tutti gli attori. Se ad esempio manca la connessione digitale, l’accompagnamento alle famiglie o il coinvolgimento della comunità, il progetto fallisce, “perché nella formula non si somma: si moltiplica, e con un solo zero, il risultato è sempre zero.”

Il quadrante strategico

Il quadrante strategico offre una chiave di lettura per interpretare le progettualità in base alla tipologia di governance (pubblica o collaborativa) e ai comportamenti dei cittadini e dei consumatori. L’esperienza presentata si colloca nell’area degli interventi pubblici che agiscono sui comportamenti individuali attraverso strumenti regolativi, incentivi e dispositivi istituzionali. Lo strumento del quadrante consente di posizionare le varie sperimentazioni all’interno di un modello logico-interpretativo utile per il design delle politiche. Di seguito si propone un’infografica in cui viene posizionata la presente progettualità, insieme a quelle descritte negli articoli precedenti, all’interno del quadrante strategico.

2 commenti

  • Semplicemente Complimenti ,io ti ho ascoltato più volte dal vivo, e ogni volta che ti leggo o ti ascolto riesci a motivarmi e a non mollare.
    Grazie Gianfilippo

    Roberto de donno

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