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lunedì 9 Giugno 2025,

La pace che Gesù ci lascia come dono

«Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore» (Giovanni 14,24).

«Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi». Che ne abbiamo fatto, di questo suo dono? Che ne abbiamo fatto di questo regalo che ci ha lasciato e che – non dimentichiamolo – è proprio il primo dono del Risorto, la sera di Pasqua, nel Cenacolo visitato a porte chiuse (le porte del cuore, non solo quelle del locale)? Che ne abbiamo fatto di questo annuncio di pace donato agli uomini «amati dal Signore» già al momento della sua nascita a Betlemme?

Ma la pace che Gesù ci ha lasciato non è come quella che il mondo vuole: «Non come la dà il mondo, io la do a voi». Non è una tregua tra due guerre; non è sottomissione del debole al forte con l’uso delle armi; non è sottomissione all’ingiustizia o indifferenza di fronte al male pur di non avere problemi intorno a noi; tanto meno è il quieto vivere che ci permetta di fare quello che vogliamo. La pace dono del Risorto è quella che passa attraverso il Calvario e la croce, e che assume sulle proprie spalle il peso della croce. La pace che Gesù ci lascia come dono e come impegno è quella di chi vince il male con il bene, e non con ulteriore male; di chi vince le incomprensioni non ignorandole fino a che non degenerino, ma affrontandole da subito con il dialogo e il confronto; di chi accetta che il pensiero e lo stile di vita dell’altro, diversi dal mio, non sono un pericolo o un limite per la mia libertà, ma una ricchezza per la mia vita e la vita di tutti.

Troviamo nella prima lettura di Atti un esempio di questa pace suggerita e provocata dall’azione dello Spirito. Viene descritta la grave situazione di tensione creatasi tra i cristiani provenienti dal Giudaismo (che volevano imporre a tutti i neo-credenti le regole pesanti e oppressive della Legge di Mosè) e quelli provenienti dal mondo greco o pagano, che avevano abbracciato la fede attraverso il solo annuncio liberante e liberatorio di Paolo e Barnaba, i quali offrivano un cristianesimo basato su un unico comandamento, quello di domenica scorsa: l’amore reciproco. La descrizione che Luca fa dell’assemblea di Gerusalemme non rende certamente ragione del duro conflitto che ha contrapposto due ali della chiesa primitiva, separate proprio dal modo di annunziare il messaggio di Gesù in un ambiente diverso da quello giudaico.

Dalle lettere di Paolo (Galati, 2Corinzi e Filippesi) appare chiaramente che questo conflitto ha avuto sviluppi che Luca sembra ignorare. Per lui è importante dimostrare che, se è vero che il centro di irradiazione di una chiesa potenzialmente ormai universale è stata la comunità di Antiochia, ovvero la chiesa madre che, vincendo le proprie resistenze, ha dato il via all’evangelizzazione dei gentili, autorizzandone l’ammissione nella comunità senza l’obbligo previo della circoncisione. In questa prospettiva la missione paolina, mediante la quale il cristianesimo si è esteso fino alla capitale dell’impero, e poi a noi, appare non come l’iniziativa personale di un grande missionario, ma come il frutto più maturo di un movimento che ha le sue radici in Gerusalemme e che è stato guidato dalla presenza attiva dello Spirito di Gesù.

Chi l’ha spuntata? Il più forte e il più arrogante? No. Chi ha fatto passare la propria linea? Chi ha urlato di più in assemblea? No. Ha vinto il dialogo e l’accettazione delle posizioni dell’altro come opportunità e come ricchezza. Quanto ha da imparare, il mondo, da quei cristiani! E quanto abbiamo da imparare noi cristiani di oggi dai cristiani di allora! Certo che se, a partire dalle nostre piccole assemblee e dalle nostre piccole comunità, non iniziamo a guardare all’altro, a chi è diverso da noi e la pensa diversamente da noi come una ricchezza e un’opportunità, allora pretendere che il mondo intero possa vivere nella pace diviene un’utopia bella e buona! Se invece iniziamo a dialogare senza pregiudizi, a rispettarci senza prevalere sugli altri, e ad accettarci per quello che siamo, la pace non è più un’utopia, ma una strada da percorrere. Una strada lunga e faticosa, certo: ma sicura e senza pericoli. E soprattutto, amata e voluta da Dio.

Giulio Antoniol