L’Eucaristia non è un oggetto di culto; l’ostensorio che contiene l’Ostia consacrata, per quanto artisticamente prezioso possa essere, non è semplice espressione di una tradizione che si rinnova ogni anno con la Solennità del Corpus Domini: si tratta di una presenza viva, reale, concreta, pulsante vita e camminante in mezzo a noi, sulle nostre strade, come noi facciamo nella vita di ogni giorno.
Il Corpo di Cristo esposto all’adorazione dei fedeli nell’ostensorio non è un’apparizione; portare Gesù nell’Eucaristia in processione con più o meno onore (a seconda anche delle tradizioni che si tramandano) non è la stessa cosa che portare le statue di Maria e dei Santi, le quali, pur essendo da noi venerate e amate come presenza viva per la vita della comunità, rimangono pur sempre degli oggetti di culto.
Durante la processione Gesù cammina con noi, diviene parte del nostro quotidiano vivere di ogni giorno. È proprio per questo che la Chiesa riserva all’Eucaristia una sacralità e un culto senza pari: perché nulla come l’Eucaristia ci dice la presenza del Dio fatto Uomo, fatto Carne, fatto Pane in mezzo a noi. Ma la cosa ancor più particolare di questa aura di sacralità intorno all’Eucaristia, è proprio la sua quotidianità. Ciò che di più sacro adoriamo e conserviamo nella Chiesa è proprio ciò che più quotidianamente di ogni cosa ci parla di Dio: perché se c’è qualcosa che nella nostra quotidianità non manca, e non può e non deve mancare, è proprio il pane quotidiano, il cibo, il mangiare. E questo mangiare quotidiano lo veneriamo, oggi, nel mangiare di Dio con noi. Sacralità nella quotidianità, quindi: è forse questo il messaggio più bello e più confortante che l’Eucaristia ci vuole trasmettere anche attraverso questa solennità.
Andare a fare la Comunione non è un premio per i buoni, bensì un rimedio per i peccatori; è la medicina per curare l’animo malato di chi fatica a credere. Quando, nella Messa a cui partecipiamo, il momento immediatamente precedente alla Comunione Eucaristica è suggellato da questa invocazione: «O Signore, non sono degno di partecipare alla tua mensa, ma di’ soltanto una parola e io sarò salvato».
Forse molte volte non ci accostiamo all’Eucaristia o non facciamo la Comunione a messa perché ci sentiamo indegni, perché non ci sentiamo a posto in coscienza, perché non siamo bravi cristiani come tutti quelli che fanno la Comunione quasi quotidianamente, perché siamo peccatori e quindi Dio non può entrare nel cuore di una persona che ha commesso un peccato, e via dicendo. Questo non significa togliere sacralità a Gesù Eucaristia, né tantomeno partecipare alla Messa con faciloneria e sufficienza: significa solamente avere la consapevolezza che non è la nostra santità personale che ci salva, ma la pochezza della nostra vita messa a disposizione degli altri. Questa è benedetta da Gesù e diviene pane spezzato per tutti: questa è la logica del Regno che Gesù, anche quella sera, in un luogo deserto, stava annunciando alle folle.
Giulio Antoniol
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