Nei primi anni Cinquanta, con la famiglia avevamo conquistato una casa più da siori, tutta nuova, col giardino, soffitta e cantina e persino un po’ di orto nonostante il piccolo appartamento fosse composto da tre minuscoli locali più servizio; ma il cesso, pur piccolo, aveva perfino la vasca da bagno e in cantina c’era la lavanderia.

Io dormivo sul divano del salotto, adattato ogni sera a letto1 e la mia stanza era la più bella anche se poco privata, ma che importa! Il sacrificio all’inizio non esisteva e cominciò a presentarsi solo all’arrivo della prima TV in bianco e nero, la cui dislocazione non poteva essere che là, nell’angolo sud. Siccome però la regola intimava che ‘dopo Carosello: tutti a nanna’ non ho mai preteso d’andar oltre e neppure mi pesava molto iniziare il sonno sul letto dei miei genitori e di finirlo nel mio con un trasporto convenzionalmente chiamato ‘a sacco di patate’ che era diventato come un gioco bello.
Per quanto riguarda gli spettacoli pomeridiani, le trasmissioni iniziavano tardi e ci interessavano poco data l’abbondanza dell’offerta esterna, favorita da un punto di ritrovo fondamentale, ossia il nuovo oratorio con calcio-balilla interno e campetto vero esterno per i giovani, messo di recente a disposizione dai Frati Cappuccini oltre al mare di prati e boscaglie circostanti, inselvatichite lungo le vecchie mura della via dismessa.

La casa era infatti a Mussoi, periferia nord di Belluno, oltre la ferrovia ‘nuova’, dopo la Cerva dove, dietro i possedimenti di Villa Morassutti, a ridosso della Vignetta, si estendeva l’area di insediamento di numerose recenti caserme, tutte affacciate su via Col di Lana, che portava pure alla ‘nuova’ area industriale dove era stata insediata la moderna fabbrica di strumenti di misura ‘Dino Chinaglia’. A suo fianco, era sorto il deposito di smistamento della storica azienda di pietre molari diretta da (Bepi) Fant, ivi trasferita dalle zone antistanti le cave di arenaria di Bolzano e Libano ormai considerate inadeguate. Alla fine di una breve salita, di fronte al complesso delle case del Papa2 era stato edificato il nuovo Tempio-Ossario annesso al convento dei Frati Cappuccini delegati alla sua custodia. Il limite della frazione arrivava al quadrivio successivo dove Osvaldo Monti, in un suo acquerello ottocentesco, sottolineava la presenza di un grande portale (forse arboreo), fulcro di probabili accessi sterrati provenienti da tutte le direzioni (Favola, Col di Piana, Tisoi-Bolzano). Oggi la porta non c’è più, ma il quadrivio rimane. Ad inizio del Novecento, svoltando verso monte, per Travazzoi, si incontrava poi la fabbrica di laterizi con fornace per tegole e mattoni la quale, tramite teleferica, era alimentata con la creta cavata più a monte, dietro il poligono militare di tiro, verso il ‘Bosco delle castagne’. Il frequente passaggio di animali da soma atti al trasporto dei materiali più disparati è forse all’origine del toponimo ‘Mussoi’, che praticamente andava ad indicare il territorio collinare pedemontano che dalla cosiddetta piana di Favola, ‘orto’ cittadino a nord della ‘villa’ principale, sulla destra del torrente Ardo, si estendeva verso l’Agordino fino alla Chiesurazza ossia prima di raggiungere i campi di ʃmarna3, le prime le case di Sois e l’altro opificio, fonderia dei Bridda, già calchera4. L’anello si chiudeva con la viuzza della Carpenada che mirava direttamente a San Gervasio o col giro più largo teso a Salce via Bes, incrociando la Feltrina. Campagna sì, ma di gran pregio, che annoverava, assieme alle coloniche, anche le case signorili e Ville nobiliari padronali.
La nuova casa di periferia
Al bivio per Tisoi-Bolzano si era ormai al limite della campagna e il nostro condominio5, voluto dal Chinaglia come proposta padronale [con tanto di posa simbolica della prima pietra], era nato là, assieme a qualche altra sporadica casa, e a un casermone per il ‘ricovero dell’infanzia abbandonata’, sicuramente conforme, almeno nel titolo, alla più che discreta dislocazione6.

Per alcuni anni vissi quel verde con somma gioia. Dietro casa infatti partiva una specie di sentiero a carpenada, limitato da vecchi muri a secco mezzi caduti, che serviva da confine col terreno del convento (oggi via dei Frati) e arrivava fin quasi alla ferrovia7, lasciando aperta una falla che conduceva al muro delle caserme, dalla parte delle stalle, dove vivevano i muli del Sesto Artiglieria da montagna.

Questo viottolo fu per alcuni anni territorio franco per i giochi miei e dei miei nuovi coetanei, dove il rischio di prenderle era però quotidiano! Sul lato ovest infatti, per una fascia di qualche centinaio di metri, il terreno era soggetto alla colonìa dei Tonon, una ‘tribù di feroci contadini’ – pensavo io – che ti correvano dietro per un nonnulla, con la forca in mano. Chissà però perché, il pericolo attrae. Non ci vollero comunque molti anni per veder sparire i prati, le canne, le vacche e alla fine anche i contadini, l’ultima generazione dei quali ricordo appassionata di ciclismo, coi rulli in stalla accanto alla mangiatoia, per gli allenamenti invernali.


A segnare il confine con la parte ‘cittadina’, oltre la strada, sul crocevia ‘dei Frati’, c’era la casetta8 dei Paloppi (maestri lui e lei); poi, anche lì, campagna, attraversata dalla solitaria statale Agordina.

Il limite massimo per le passeggiate era raggiungere l’Osteria de le Zìlighe9 a Chiesurazza, dove dicevano che si beveva bene e si poteva mangiare un bel panino con vero salame nostrano de vaca e porzèl; poi in un quinquennio il confine della ‘periferia’ si è alzato rapidamente essendo rappresentato dalle nuove case popolari INA10 e dal bar ‘polifunzionale’ Alla Baita11.

I campi intermedi, diventati aree edificabili, furono tosto messi a coltura di villini che saturarono presto la zona.
La popolazione di Mussoi ebbe dunque, tra gli anni Cinquanta e Sessanta (specie nei primi), un incremento notevolissimo ed io mi ritrovai con uno stuolo enorme di potenziali amici di gioco.
- I divani ‘uso letto’ a rete fissa o estraibile, diventarono di moda in quel periodo del dopoguerra garantendo una comodità più che accettabile per i criteri del tempo. ↩︎
- Il gruppetto di case comprendeva quella natale di Gregorio XVI, la chiesetta del Papa e Villa Clizia. ↩︎
- Una specie di lignite di torbiera, spesso usata come fertilizzante, citata anche dal Coraulo nel ‘Filò’. ↩︎
- Fornace da calce. ↩︎
- Quattro mini da 50 mq e un ‘attico’ da privilegiati da quasi 100. ↩︎
- L’edificio apparteneva al patrimonio provinciale dell’OMNI, Opera Nazionale Maternità Infanzia ed era dedicato “alla protezione morale e all’assistenza materiale delle madri e dei bambini, appartenenti a famiglie bisognose o prive di assistenza familiare, e a fanciulli handicappati o abbandonati. Fu inaugurato il 22 agosto 1957. Operava attraverso una sede centrale a Roma, la federazione provinciale e comitati comunali di patronato, che gestivano consultori ostetrici e pediatrici, asili nido, refettori materni per gestanti e per nutrici, e seguiva anche l’altro stabile cittadino a ciò dedicato, realizzato sul lato nord di piazzale Marconi, al limite della traversa che raggiunge la Stazione ferroviaria. Oggi è ancora adibito a servizi sociali. L’edificio principale, di Mussoi, debitamente ristrutturato fu adibito in seguito ed è attualmente la sede del liceo Scientifico Statale ‘Galileo Galilei’ dopo che l’idea di trasferire le scuole elementari del nuovo quartiere allargato, fu cassata stante la scelta di realizzare un nuovo complesso in località ‘Le Coste’. ↩︎
- Era uno scurton, una scorciatoia, forse un tempo strada principale, una direttissima per andare da Tisoi, Bolzano, Travazzoi fino a Favola e Campedel, congiungendosi oggi a via San Lorenzo che sfiora Villa Belvedere e scende poi verso villa Campana (Pellegrini). ↩︎
- La villetta con giardino stile Primo Novecento era di proprietà del Sig. Dalla Porta. ↩︎
- Osteria delle rondini. ↩︎
- Oggi attraversate da via Tofane. ↩︎
- La cartolina, tra le prime ad illustrare la nuova area, lo chiarisce immediatamente. ↩︎
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