Dietro alla domanda di uno dei suoi discepoli che aveva visto Gesù in preghiera c’era l’intento di trovare un modo efficace di pregare, un modo che permettesse a lui e agli altri discepoli di ottenere ciò che chiedevano a Dio.
Certamente, c’era una motivazione nella sua richiesta: avere un metodo di preghiera che fosse come un contrassegno, un segnale di identità del gruppo, qualcosa che li contraddistinguesse come discepoli di Gesù.
In pratica, lo stesso che Giovanni Battista (dalla cui scuola molti provenivano) aveva fatto con i suoi seguaci: un segno di identità, un certificato di appartenenza.
E la risposta di Gesù non si fa attendere, ed è basata su un concetto di fondo, che vediamo espresso bene nelle spiegazioni che Gesù fornisce ai suoi uditori: la preghiera non deve essere uno strumento con il quale avere la pretesa di ottenere da Dio ciò che gli chiediamo, quasi fosse un distributore automatico di grazie, perché se così fosse rimarremmo subito delusi nel momento in cui ciò che gli chiediamo non va a buon fine.
La preghiera è un dialogo con Dio basato sulla fiducia: e la fiducia viene dalla certezza che Dio non è un dispensatore di benefici che si concede a chi più lo prega, ma un Padre che ama i suoi figli, e che sa bene ciò di cui i suoi figli hanno bisogno, prima ancora che glielo chiedano. Gesù è chiaro: non stancatevi di chiedere. «Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto».
Si chiede, si cerca e si bussa. E chi è dentro, apre? Cioè Dio risponde alle nostre domande? E soprattutto le esaudisce? Sant’Agostino risponde che Dio esaudisce sempre le nostre domande, tranne quando «petimus male, petimus mali, petimus malo». Cioè quando chiediamo nel male, nel peccato, quando chiediamo cose malvagie, cioè fuori della volontà di Dio e quando le chiediamo in malomodo, senza fiducia.
In ogni caso la preghiera di supplica non ha la finalità di istruire Dio, ma di costruire l’uomo. Le preghiere non svelano a Dio i nostri bisogni. Lui li sa già. Servono invece a noi per chiarire a noi stessi quel bisogno. Le preghiere non vanno a cambiare i disegni della Provvidenza, ma ad ottenere ciò che Dio aveva già prestabilito di donarci. Noi preghiamo affinché siamo disposti ad accogliere, quanto Dio aveva già preordinato dall’eternità.
Questo significa che pregare Dio non è solo chiedere a lui ciò di cui abbiamo bisogno, ma anche impegnarci a fare in modo che ciò che chiediamo sia basato su un rapporto di fiducia e di amore verso di lui.
E allora dobbiamo poterci impegnare a fare in modo che il suo nome sia santificato, onorato e rispettato come si deve; dobbiamo poterci impegnare a realizzare qui, sulla terra, la presenza del Regno di Dio; dobbiamo poterci impegnare a fare in modo che a nessuno manchi mai il pane sulla mensa di ogni giorno; dobbiamo poterci impegnare a creare una cultura del perdono e della riconciliazione, nella quale nessun uomo debba sentirsi indebitato con un altro solo per il fatto di aver ricevuto amore e perdono.
Pregare il Padre Nostro, allora, non è solo pronunciare una preghiera che ci contraddistingua come cristiani: è la presa di coscienza che, se di Dio ci possiamo fidare ciecamente come un figlio si fida di suo padre, dobbiamo pure prenderci la responsabilità di creare un mondo in cui Dio possa dire agli uomini «Mi fido di voi», perché vede che ci amiamo tra di noi come lui ci ama.
Giulio Antoniol
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