C’è una montagna che non t’aspetti. E che induce a una riflessione, una volta tanto, meno sconsolata sul futuro dei nostri territori. A mostrarcela è il Rapporto Montagne Italia 2025, curato dall’Uncem che aggiorna il precedente, vecchio di otto anni. Come dire: c’eravamo lasciati con la mesta visione delle «terre alte» in spopolamento lento, ma inesorabile; con un’agricoltura di montagna appesa alla manodopera straniera e con i numeri impietosi della fuga in città dei giovani.
E ci ritroviamo con una fotografia inedita della montagna che torna ad essere, udite udite, luogo di attrazione e di rigenerazione. Parole “grosse” se si guarda la complessità delle questioni irrisolte e cronicizzate che attanagliano i territori montani, a cui si sono aggiunte le nuove emergenze, da quella climatica all’overtourism.
Ma i numeri svelano una sorta di nuovo protagonismo delle «terre alte»: secondo il Rapporto, infatti, oltre 100 mila persone hanno scelto negli ultimi tre anni di trasferirsi in montagna, di cui 65 mila italiani e 35 mila stranieri. Inversione di tendenza o solo una rondine che non farà primavera? Il dato non è omogeneo, come ha commentato il presidente di Uncem, Marco Bussone, «perché coinvolge solo l’area alpina e nord-appenninica. Ma a Nordest è un chiarotrend in atto. Certo, questo saldo migratorio positivo non cancella decenni di spopolamento e denatalità, ma va studiato: chi sono coloro che salgono dalla pianura? Che cosa fanno? Quali servizi utilizzano?». Nuove ricerche sapranno offrirci anche un’informazione qualitativa sul fenomeno.
C’è comunque una “voglia di montagna” che non è più dettata solo dalla «fuga dalla città», ma da una consapevole ricerca di qualità della vita, di lavoro meno stressante, servizi di prossimità, ambiente sano e senso di comunità. Tutte qualità “alte” che la montagna possiede, o sembra possedere. Questo è il punto: si saprà cogliere la sfida di chi arriva, armonizzando e integrando i nuovi con i vecchi residenti?
Il rapporto attesta che esiste una capacità di risposta e di innovazione sorprendente, che contraddice il luogo comune che vuole le valli alpine, il nostro Bellunese nello specifico, come ambienti chiusi, se non arretrati e poco recettivi al nuovo.
«A Belùn no ghe n’é gnent», da sempre si sente dire passeggiando in piazza dei Martiri. A cui si risponde con un avvilente «contentonse». Espressioni che compendiano la rassegnazione, come spiega Fabio Bristot, nella rubrica che firma per il nostro sito. Ma se non fosse più vero che qui «non ci sta nulla»?
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