L’11 agosto del 1464 moriva a Todi il cardinale Niccolò Cusano (oggi noto ai più solo perché il sindaco di Terni Bandecchi ha creato e gli ha intitolato una di quelle furbesche università telematiche che sfornano titoli virtuali), un personaggio importante, che ha più di un legame con la storia del territorio bellunese.
Era nato nel 1401 in Germania, a Kues (Cusa in latino, da cui il suo nome) vicino a Treviri, in Renania. Studiò a Heidelberg, a Colonia e poi a Padova con Gasparino Barzizza, dove divenne amico di Vittorino da Feltre e del giovane senese Enea Silvio Piccolomini, che sarebbe diventato papa Pio II.
Negli anni Trenta viaggia tra Parigi, Lovanio, Costanza, Basilea e Roma, dove fu segretario di diversi cardinali. Nel maggio del 1437 fu mandato da papa Eugenio IV Condulmer ambasciatore a Costantinopoli per saggiare una possibile riunificazione tra cattolici e ortodossi. Cusano riuscì a tornare in Italia l’anno seguente portandosi dietro l’imperatore bizantino Giovanni VIII Paleologo che partecipò ai concili di Ferrara e Firenze. Negli anni Quaranta convinse i vescovi tedeschi ad abbandonare l’antipapa Felice e, nel 1447, a riunificarsi con Roma. Il papa premiò il Cusano creandolo cardinale nel 1448 e vescovo di Bressanone nel 1450.
E qui si arriva al suo ruolo nella storia ecclesiastica bellunese. Bressanone, sede che dal 1027 assegnava al vescovo il rango di principe dell’impero, era ormai entrata in aperto conflitto contro gli Asburgo, appena nominati imperatori nel 1438 dai grandi elettori, per la spregiudicata politica di espansione di Sigismondo che dal Tirolo voleva estendere il suo dominio in ogni direzione. Bressanone sembrava una facile preda, tanto che l’imperatore in quello stesso 1450 si autoproclamò duca di Bressanone, ma Niccolò Cusano seppe resistere, a volte con le armi, più spesso con la diplomazia, qualche volta con l’astuzia.
Quando il clima a Bressanone si faceva rischioso per l’avvicinarsi delle truppe imperiali, il cardinale si ritirava infatti nel suo ultimo imprendibile castello all’estremo lembo sud della sua diocesi, cioè nel castello di Andraz (oggi in comune di Livinallongo). Andraz divenne il suo “buen retiro”, dove scrisse alcuni dei suoi trattati filosofici, scientifici e politici più lungimiranti, in cui ad esempio fu il primo ad immaginare e a proporre la creazione di una specie di federazione europea. Scrisse perfino un trattato di benevola interpretazione del Corano.
Ebbene, quando i suoi doveri di cardinale lo chiamavano a Roma, se il clima politico era favorevole scendeva da Bressanone a Bolzano e Trento lungo la via del Brennero, ma quando – molto più spesso – tirava una brutta aria, da Andraz chiedeva al capitano bellunese di Rocca Pietore e alla Serenissima il permesso di attraversare il territorio veneziano per evitare le imboscate imperiali.
Permesso che gli fu sempre concesso, ma con una piccola richiesta. I bellunesi chiesero al cardinale Cusano che avvicinasse il nuovo papa Pio II, cioè il suo vecchio amico di gioventù Enea Silvio Piccolomini, per chiedergli che finalmente concedesse a Belluno e a Feltre di tornare ad essere due diocesi separate e autonome, superando l’unificazione imposta nel 1197 dopo l’uccisione in battaglia da parte dei trevigiani del vescovo di Belluno Gherardo de Taccoli. Il momento era comunque favorevole, perché Venezia non aveva obiezioni, anzi! Avrebbe potuto nominare vescovi due patrizi veneti al posto di uno (anche se così ebbero inizio le tensioni giurisdizionaliste che sfociarono nell’interdetto di Belluno nel 1536 alla morte del vescovo Casalio e al grande interdetto del 1606 contro tutto lo stato veneto al culmine dello scontro tra papa Paolo V e Paolo Sarpi). E fu così che Pio II concesse che, appena fosse morto l’ultimo vescovo titolare di entrambe le sedi, Francesco dal Legname, Belluno e Feltre avrebbero potuto tornare ad essere diocesi autonome. Coì accadde nel 1462 e Belluno espresse la sua soddisfazione avviando nel 1463 l’erezione della chiesa di Santo Stefano.
Intanto, nel 1460 Cusano non era riuscito a rifugiarsi ad Andraz e venne assediato nel castello di Brunico, da cui fuggì a cavallo verso Roma, da dove non sarebbe più tornato, anche perché il papa gli affidò delicati incarichi diplomatici in Spagna, Germania e Polonia. Nominato vicario papale per la città di Roma.
Morì in viaggio, a Todi, ma venne sepolto a Roma in San Pietro in Vincoli, dove il suo monumento funebre venne scolpito da Andrea Bregno, che qualche anno dopo avrebbe scolpito a Belluno le due statue dei santi Joatà e Lucano per il primo altare del Duomo a sinistra entrando.
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