Sono passati sedici anni da quando, nel 2009, le Dolomiti sono state riconosciute Patrimonio Mondiale dell’Umanità dall’Unesco per la loro eccezionale bellezza paesaggistica e il valore geologico unico. Il sito si è distinto a livello mondiale per due motivi principali: da un lato, la complessità territoriale, culturale e amministrativa, con nove sistemi montuosi, numerose valli e comunità distribuite tra tre province (Belluno, Trento, Bolzano) e tre regioni (Trentino-Alto Adige, Veneto, Friuli-Venezia Giulia); dall’altro, il suo essere un patrimonio “naturale” che testimonia l’equilibrio secolare tra le forze della natura e la presenza umana, cifra distintiva dell’abitare le terre alte.
Già nella fase di candidatura, questa complessità ha fatto emergere la necessità di una gestione unitaria. È nata così la Fondazione Dolomiti Unesco, che coordina un modello di governance basato su reti funzionali tematiche, con il coinvolgimento diretto di tutti i territori. Le azioni condivise, volte alla conservazione e valorizzazione dei valori universali (paesaggio e geologia), si fondano su una strategia articolata in quattro pilastri: conservazione attiva, coinvolgimento delle comunità, promozione di un turismo sostenibile, cooperazione tra gli attori locali per garantire un’efficace gestione condivisa.
Questa premessa è necessaria per riportare al centro il senso del riconoscimento Unesco concepito come punto di partenza per un grande progetto collettivo. Eppure, ancora oggi c’è chi attribuisce a questo titolo la responsabilità di fenomeni che interessano i territori come se ne fossero vittime passive. È il caso del recente dibattito sull’overtourism in alcune aree dolomitiche, ritenuto da alcuni un effetto diretto del riconoscimento, al punto da proporne la revoca. Una visione paradossale che, pur banalizzando un fenomeno complesso come la gestione dei flussi turistici, ha offerto lo spunto per chiarire l’approccio responsabile con cui le Dolomiti Unesco affrontano questo tema cruciale. L’overtourism ha cause profonde, legate non certo alla sola notorietà bensì a strumenti di pianificazione, regolamentazione e comunicazione. Non a caso, la Fondazione Dolomiti Unesco, insieme alla rete della promozione turistica guidata dalla Provincia di Belluno, ha recentemente realizzato specifiche linee guida su quest’ultimo aspetto.
Un riconoscimento Unesco accende un faro su territori di eccezionale valore, rendendoli visibili al mondo. Ma illumina anche la complessità della loro gestione e chiama tutti alla responsabilità: amministratori, operatori, cittadini e visitatori. Non si tratta solo di bellezza: si tratta di comunità, fragilità, identità. Pensare che l’Unesco sia responsabile del turismo di massa è come incolpare un Premio Nobel per la notorietà che ne deriva. Il riconoscimento non garantisce automaticamente protezione né sviluppo virtuoso: serve una gestione attiva e lungimirante. Deve diventare leva per politiche territoriali integrate, capaci di riequilibrare dissonanze e valorizzare anche i luoghi meno noti, ma autentici. Le Dolomiti Unesco non sono solo una piattaforma geografica, ma un laboratorio dove sperimentare nuovi modelli di gestione e distribuzione dei flussi, anche nel tempo.
Solo con l’impegno corale di comunità locali, istituzioni e operatori si può trasformare un sigillo internazionale in azione concreta. Perché il vero significato del riconoscimento è proprio questo: un invito a costruire, insieme, un futuro in equilibrio tra ambiente, società ed economia.
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1 commento
Giuseppe
Forse non aver previsto che tra i valori da custodire e incentivare, accanto a paesaggio e geologia, ci fossero anche le comunità locali ha impedito di pensare fin da subito un dialogo costruttivo e valido, in grado di arginare i fenomeni di massa, che ora disturbano.