
Tra i miti locali, assieme alla Redoʃega, all’òn selvarego alla ʃmara e al mazaról, in parallelo alla caza selvàrega, c’è quella di Gaio Flavio Ostilio Sertoriano, «governadór roman, che a i pore beluneʃi, de cór ghe à dat na man». Così recita la leggenda posta in rima da Tomas Pellegrini, che da un paio di generazioni ha arricchito la tradizione popolare cittadina di un nuovo personaggio le cui spoglie mortali, assieme a quelle della moglie Domizia, sarebbero contenute in un bel sarcofago sulle cui pareti sono scolpite a bassorilievo movimentate scene di caccia tra cui, sulle testate, quelle al cinghiale e al cervo. Da ciò ad immaginare la città salvata dal porco zengial, grazie al coraggio del Flavio cacciatore, c’è voluto poco e tutti noi l’abbiamo sicuramente creduto e raccontato, confortati dall’ulteriore possibilità di toccare con mano … «parsora sie colone, de fora de na ceʃa, ghe n é n casón de piera, che l é par tut na sféʃa …».
Ritrovato nel 1480, durante gli scavi fatti per edificare il campanile da affiancare alla chiesa di Santo Stefano, il sarcofago fu posto accanto all’uscita del medesimo edificio sul lato sud.
Venne poi trasferito nel 1539 in piazza Duomo e sistemato su quattro colonne davanti al Palazzo della Caminada, al fianco della grande scalinata.
Nel 1837, per i lavori di smantellamento dello stesso e la costruzione del Tribunale e del nuovo palazzo del Comune, fu spostato di fronte all’ingresso della Cattedrale.
Nel 1841 il sarcofago1 fu riportato accanto alla chiesa di S. Stefano e addossato al muro, inizialmente, senza colonne di sostegno, verso l’angolo sud-ovest e poi, rimontato su colonne, all’angolo sud-est; ciò fino all’ultimo spostamento del 1981 con la collocazione sotto il portico sul lato ovest di Palazzo Crepadona2, in luogo tutto sommato poco visibile, ma si sa che i Bellunesi sono specialisti in questo.


L’edicola de la Ines
Quasi ogni sabato mio padre passava a prendere suo compare (che mi era santolo dato che da noi al compare de anèl l é l pare de l primo putel). Beniamino lavorava dal gioielliere Sorgato e la botega era sull’angolo tra il Campedel e Piazza Vittorio Emanuele, coincidendo – straordinario il destino – col cosiddetto canton de la pelagra, sul cui vero significato ci si interroga ancora oggi. Di certo sulle colonne d’ambo i fronti, era normale veder affissi avvisi mortuari3 e a molti sicuro ciò poteva far rabbrividire la pelle; a volte vi si fermava qualche poveraccio a mendicare, ma la cosa non era frequente; la pellagra, nel senso di brutta pelle, poteva venirti anche solo a star là esposto ai quattro venti: scegliete voi.

Resta il fatto che chiamare botega la gioielleria, tanto quanto il caʃinet, dove si prendevano sfusi olio, zucchero e farina, mi sembrava ingiusto.
Le vetrine erano piene di ori ordinati in braccialetti e collane, fili di perle e spille; e poi c’erano le penne da siori, le stilografiche dal pennino d’oro; dentro c’era silenzio anche col pieno di gente; al massimo un leggero brusio; pareva di essere in chiesa e ci entravano tutti perché un giorno nella vita, da Sorgato, occorreva riservarselo: almeno per le fedi, una catenina d’oro, per l’orologio della prima comunione. Lui era una persona gentilissima e a modo, proprio come mio santolo; riuscivano a mettere a proprio agio, nello stesso momento clienti di diversa estrazione e disponibilità economica; avevano poi un particolare sacro rispetto per tutti i denari sudati.
Mentre mio padre aspettava la chiusura del negozio, scambiava quattro chiacchiere con Zornitta o con Zortea che avevano il parcheggio del taxi proprio di fronte al canton e poi se ne andavano a prelevare Toni ‘elettrico’ che lavorava nel negozio di casalinghi (i ferri da stiro elettrici erano la novità del momento da cui il soprannome subito affibbiato) di fianco al Caffè Commercio.
Là entravano non tanto per la prassi dell’ombra quanto per quella di un piccolo sistema da giocarsi alla Sisal, così si chiamava l’elementare Totocalcio d’allora che si accontentava di schedine rosa fatte di carta opaca e morbida (perciò ambita e trafugata anche per altre ‘compilazioni’ casalinghe4).

Prima di avviarsi al Ferrovia per lo scarabòcio rituale, passavano infine alla piccola edicola posta in fronte al Teatro Comunale, appena fuori dei portici della Farmacia Perale. Al ‘finestrello’ c’era la Ines ad aspettarci tutti, una biondina dal sorriso largo e pronta sempre a scherzare5. Aveva con loro una confidenza da coetanea, da amica di giochi o di scuola. Sapeva già cosa ognuno poteva cercare. A mio padre dava una rivista di lavori a maglia per mia madre e, se c’era, aggiungeva un giallo dell’ultima serie economica di Agata Christie. Poi solleticava me col parlare delle ultime serie di figurine ‘Lampo’ appena arrivate6. Credo di aver provato con tre album, mai almeno uno finito ma quasi. Mio padre era tirato sul comprarmi più d’una bustina per volta e avevo imparato che era inutile insistere. D’altra parte me ne regalava qualcuna d’imprevista e perciò ancor più gradita.
Figurine che passione

Ricordo la serie con gli animali e l’altra, molto più frivola, con i campioni sportivi, Coppi, Bartali, Magni dove mi mancava Carnera, ‘il gigante buono di Sequals’ che ho conquistato alla fine in cambio di tre Loi7 e un Cavicchi. L’album dei calciatori l’ho lasciato a tre quarti dopo aver completato la Iuve che era la squadra del cuore (emulazione di mio padre); i pezzi forti erano Boniperti, Sivori e Charles ‘testina d’oro’. La parte più divertente del gioco consisteva nel mercato degli scambi allorché cercavamo di barattare i doppioni con figure mancanti e bisognava saperci davvero fare.

Un’altra edicola era anche sul lato opposto del Campedel, molto vicina all’albergo Ferrovia; confesso di aver talvolta convinto mio padre a tradire la Ines lasciandomi comprare la bustina in questo chiosco (del cui gestore lui era peraltro amico); ero convinto di avere maggiori probabilità di trovare figurine diverse ma il problema del ‘tradimento’ mostrava di fatto un esubero di simpatia da parte mia. Mi sono sempre piaciute le bionde (anche se ho ‘raccolto’ di più more).
Tutte le puntate
- “Il sarcofago, in pietra del Cansiglio, fatto risalire al primo quarto del III sec. d.C., presenta sul lato maggiore una epigrafe in latino e greco dentro una cornice ottagonale, affiancata dalle figure di due defunti e retta da due eroti (amorini) e da due tritoni; sul lato opposto una movimentata scena di ritorno dalla caccia con molte figure di persone ed animali; sui lati minori scene di caccia al cinghiale e al cervo. Dice la scritta: C. FL. HOSTIUVS / PAP. SERTORIANVS / LAVR. LAV. P. EQ. R. M / SIBI ET DOMITIAE / T. FILIAE. SEVERAE / COIVGI. INCOMPARA / V. BILI. F / ΓPHΓOP1. XAΙPE/ OPECI. AEI / MNHMῺN (trad. Caio Flavio Ostilio Sertoriano della tribù Papiria, laurente lavinate, cavaliere romano patrono del municipio, ha fatto costruire da vivo per sé e per Domizia, figlia di Tito, coniuge incomparabile. Sii vigile e rallegrati ricordando sempre i tuoi monti!)”. Cfr. De Bortoli, Gigetto. Vizzutti, Flavio. Moro, Andrea. Belluno : storia, architettura, arte. Belluno, Istituto bellunese di ricerche sociali e culturali, 1984, pp. 283-284. ↩︎
- Si tratta di un palazzo nobiliare cinquecentesco, fatto costruire da Niccolò Crepadoni il quale unì insieme una serie di edifici precedenti, di cui l’altana conserva forse l’impianto di una delle antiche torri, che sopravanzavano le mura cittadine. Dal 1981 vi si trova al pianterreno il sarcofago di Tullio Ostilio. L’edificio ospita mostre, anche di livello internazionale, ed è sede della biblioteca e del centro culturale comunali (cfr. Ibidem, p. 279 e ss.) ↩︎
- Altri luoghi tipici di affissione sono alcuni muri comunali o addirittura qualche bar. In Piazza dei Martiri uno spazio è presso l’ingresso in Piazza Castello, sulla destra. ↩︎
- L’esperienza entrerà a far parte del lungo monologo sul tema escatologico che grande successo troverà nel repertorio dei Belumat. ↩︎
- Credo che la Ines facesse, come secondo lavoro, la maschera al cinema, ma non ricordo in quale. ↩︎
- Le figurine ‘Lampo’ della Casa editrice Astra, modificano una moda nata con le figurine promozionali della Liebig, portandole su un nuovo livello di comunicazione con soggetti sviluppati come modelli culturali. Nel 1950, con il fortunatissimo album ‘Animali di tutto il mondo’, si scatenerà una travolgente passione popolare per le raccolte di figurine, simile per dimensioni a quella che aveva animato la metà degli anni Trenta, ma che presenta caratteristiche del tutto nuove. L’album per la loro raccolta non è più semplice raccoglitore, ma acquisisce una sua ben precisa rilevanza e dignità professionale e riporta testi scritti che fungono da autorevole guida e commento alle immagini. Si tratta insomma di un prodotto nuovo, esplicitamente concepito per essere conservato nel tempo. La produzione della Lampo, assai estesa sul piano quantitativo, coprirà nel corso degli anni quasi tutti gli aspetti tematici trattabili dall’editoria del settore. Accanto alle tradizionali raccolte didattiche si imporranno infatti raccolte a tema sportivo (che acquisiranno una certa continuità soprattutto a partire dalla fine degli anni ’50). ↩︎
- Duilio Loi, grande campione della box italiana, l’ho conosciuto poi davvero nei primi anni 2000, quando era in attesa della grande signora, in una stanza della Casa di Ricovero di Tarzo, colpito da Alzaimer e piegato dagli anni, con gli occhi persi e i pugni chiusi, ritirato nella impossibile difesa persino dei ricordi: ma era proprio lui, come sulla figurina. ↩︎
Seguici anche su Instagram:
https://www.instagram.com/amicodelpopolo.it/
