C’è un silenzio che andrebbe rispettato.
È quello che accompagna la morte, quando la voce si abbassa, quando lo sguardo si fa più profondo, quando il tempo si ferma per un attimo e tutto, anche l’odio – dovrebbe essere messo in disparte come atto naturale.
E invece no.
Ci sono quelli che aspettano il momento esatto in cui qualcuno muore per affondare il colpo.
Ci sono commenti scritti con dita che non tremano, pieni di disprezzo, sarcasmo, veleno.
Sono gli sciacalli da tastiera: non si accontentano di giudicare i vivi, ma infieriscono anche sui morti.
Persone che non possono più spiegare, né difendersi. Persone che magari hanno sbagliato, sì, ma che adesso non ci sono più.
Non c’è nulla di coraggioso nel colpire chi non può rispondere.
Non c’è verità che giustifichi lo sfregio.
Non c’è giustizia nel fango gettato su un corpo freddo.
Non c’è etica nella merda sparsa ovunque come incenso.
Il più classico dei luoghi comuni che la morte renda tutti uguali. Non credo sia sempre così, ma almeno dovrebbe renderci almeno più umani ed autenticamente empatici.
Ma il web non conosce più la soglia dell’uomo morale.
Si commenta tutto. Si giudica tutto. Si ride di tutto. Anche di un corpo che ancora non è stato sepolto. Anche di una madre che ha appena perso un figlio. Anche di un uomo che ha fallito, ma che non potrà mai più rimediare.
Perché insultare un morto non è atto coraggioso.
È pura viltà, quella dei vigliacchi ed impotenti.
Chi lo fa non è affatto un leone.
Non ha la forza della rabbia giusta.
Non ha la dignità della protesta.
Non ha la capacità dell’indignazione.
È solo uno sciacallo, nascosta sempre dietro uno schermo, che si nutre del dolore altrui per sentirsi viva.
E noi?
Noi possiamo e dobbiamo scegliere.
Possiamo essere il silenzio che consola.
Possiamo essere il rispetto che resta.
Possiamo essere il limite che salva .
Io ho scelto. E voi?
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