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lunedì 15 Dicembre 2025,

Una parola-chiave, efficace e drammatica. Abisso

«Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi» (Lc 16,25).

Il ricco della parabola non ha un nome, è definito da ciò che mangia, da ciò che possiede, dal suo palazzo, dalle sue vesti. Il racconto lo dipinge con tre pennellate: è ricco, veste di porpora e bisso, banchetta lautamente tutti i giorni. Ogni giorno per lui è festivo, e organizza un lauto banchetto.

È tragicamente sazio, si compiace del fatto che è il Signore della sua vita. Non viene descritto come una persona malvagia, non è un brigante, è solo solo. Al centro di tutto. È ricco: una condizione rara, allora come oggi. Ma il testo non si sofferma sulla sua condotta morale: non si dice se sia un credente o meno, né se sia una persona corretta, se abbia fatto i denari col malaffare. Invece un mendicante di nome Lazzaro, era gettato alla sua porta.

Così, letteralmente, scrive Luca per sottolineare il contrasto, lo stridore, la totale opposizione: invece. Lazzaro è privo di tutto, non ha casa, non ha vestito, non ha salute. Possiede il desiderio di sfamarsi di ciò che cadeva dalla tavola del ricco.

Possiede un nome. È l’unico personaggio in tutte le parabole, di tutte! che ha un nome. Il nome, in Israele, indica l’identità profonda, ciò che sei dentro, nella tua anima, nella tua essenza, ciò che Dio rivela a te stesso e che sei chiamato a scoprire.

Lazzaro è il primo a morire, bella forza. E la morte, per lui, è stata una liberazione. Nessun funerale, immaginiamo. Gettato in una fossa comune.

A quel punto diventa affare di Dio che manda un corteo di angeli a prelevarlo per portarlo direttamente nell’abbraccio di Abramo. Abramo! Lazzaro passa direttamente al vertice di tutti i giusti, ha scalato in un solo colpo la scala gerarchica. Al tempo di Gesù i rabbini dibattevano: si pensava che la parola di Abramo potesse liberare un ebreo anche dalle fiamme dello Sheol. No, sembra ribattere Gesù, non basta essere ebreo. Bisogna essere vigile. E solidale.

Muore anche il ricco e, semplicemente, viene sepolto.

Nessuna processione angelica per lui, nessun abbraccio. Solo la comune esperienza della terra che copre il suo corpo e inizia a decomporlo. Mentre la sua anima scende anch’essa nello Sheol, nell’Ade, scrive Luca in greco, la lingua dei vangeli. Il luogo dove si pensava, al tempo di Gesù, finissero i morti.

Finisce fra i tormenti, fra le fiamme. Brucia come una scoria.

Vede Abramo, sì, ma da lontano. Un’enorme distanza li separa. Un abisso che lui, il ricco, ha scavato. Nello Sheol ci si vede, secondo la dottrina del giudaismo.

Il ricco vede il povero Lazzaro, ancora silente, ma abbracciato.

Abbracciato teneramente. Ottiene l’attenzione dal padre di Israele, da Abramo, il primo fra i cercatori di Dio. Nessuno lo aveva abbracciato, in vita. Ora Abramo se lo tiene vicino.

Il ricco non è condannato perché ha oppresso il povero. Ma perché lo ha ignorato.

Empietà e durezza di cuore vengono puniti, pietà e rassegnazione, compensati.

Esiste una parola-chiave nel racconto. Efficace e drammatica. Abisso.

Un abisso separa Abramo, Lazzaro e il ricco. Un abisso invalicabile, che non permette comunicazione, passaggio, salvezza. Un abisso che il ricco ha scavato, giorno dopo giorno, con la sua indifferenza.

Abramo quasi si scusa, in imbarazzo. Potrebbe anche aiutarlo, inviargli Lazzaro con un po’ d’acqua. Ma l’abisso impedisce ogni azione. Non costruiamo abissi di indifferenza, in questa vita. Non diventiamo imperatori della nostra vita o ci destiniamo ad un’eterna solitudine.

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2 commenti

  • Abisso è il confine tra le due condizioni, è il senso del limite: nella vita terrena spesso non ci curiamo dei limiti, li superiamo, li trasgrediamo (pensiamo ai limiti di velocità…). Ma i limiti esistono e li percepiamo molto bene tra la vita terrena e quella ultraterrena. Potessimo rispettarli anche nel presente, sarebbe tutto migliore.

  • Bello leggere i tuoi commenti al vangelo. Voglio ringraziarti tanto e incoraggiarti a continuare. Io sono sempre nella foresta del Congo con i miei pigmei. Ma ti ricordo. Tanti saluti, Flavio.

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