Il 16 ottobre del 1906 nasceva a Belluno, nella villa di famiglia a San Pellegrino, Dino Buzzati. Una casa che raccoglieva la ciclopica biblioteca bellunese raccolta dal nonno Augusto, giudice a Venezia, e dove tornava ogni estate anche il padre di Dino, Giulio Cesare, che insegnava diritto internazionale a Pavia e poi alla neonata Bocconi.
I suoi genitori erano entrambi nati a Venezia. La madre. Alba Mantovani, era figlia dell’ultima discendente della casata patrizia dei Badoer, una delle dodici “famiglie apostoliche” che secondo la leggenda marciana avevano fondato Venezia alla caduta di Roma. In famiglia, a Milano, loro hanno sempre parlato veneziano.
erzo di quattro figli, tre maschi e una femmina, Buzzati visse tutta la sua vita a Milano, facendo comunque ritorno ogni estate, puntualmente, a San Pellegrino che fu la base per le sue spedizioni alpinistiche sulle Dolomiti dai primi anni Venti fino alla sua morte, nel 1972. Ginnasio e Liceo al “Parini”, poi laurea in legge per obbedienza familiare, allievo sottufficiale, poi subito dietro una scrivania al Corriere della Sera già nel 1928, come lo zio da cui aveva avuto il nome, Dino Mantovani, scrittore e giornalista. Una vocazione già segnata.
Nelle lunghe notti in attesa che arrivassero le notizie, il giovane Buzzati cominciò a scrivere. Prima “Bàrnabo delle montagne” uscito nel 1933, poi “Il segreto del bosco vecchio” nel 1935. Inviato in Africa Orientale alla proclamazione dell’impero, continuava a scrivere. Non solo gli articoli di cronaca quotidiana, ma anche racconti e “pezzi” per la pagina culturale del Corriere. Il clima di quegli anni, in cui si percepiva l’avvicinarsi della guerra, lo portò a scrivere “Il deserto dei Tartari”, il suo romanzo più noto, che consegnò a Leo Longanesi prima di partire come inviato di guerra su una nave della Marina italiana. Il romanzo venne pubblicato nel 1940 pochi giorni prima dell’entrata in guerra dell’Italia. E Buzzati racconterà poi che la Fortezza Bastiani, avamposto in attesa del nemico, era la redazione del Corriere, in attesa della notizia che segnerà la svolta di una carriera.
Fin da giovane alternava la scrittura al disegno e alla pittura. Sono rimaste poche opere della sua produzione giovanile, perché un bombardamento alla fine della guerra colpì la sua casa di Milano distruggendo anche i suoi quadri. Un lutto che Dino impiegò anni ad elaborare, smettendo di dipingere. Fedele alla consegna, fu uno dei pochi che rimasero al giornale anche nei mesi di inizio 1945, quando il crollo militare e morale del Fascismo era ormai evidente. Fu lui a scrivere la cronaca delle vicende del 25 aprile in città.
Poi un anno di esilio forzato, mentre il Corriere venne chiuso dal CLN per collaborazionismo. Buzzati ne approfittò per completare e pubblicare “La famosa invasione degli orsi in Sicilia” che uscì per Natale del 1945, e l’anno seguente “Il libro delle pipe”, due testi in cui riuscì già ad affiancare le parole ai suoi disegni.
Poi l’impegno giornalistico e letterario del dopoguerra, culminato nel 1958 con la vittoria del Premio Strega nell’estate del 1958. Un riconoscimento nazionale che consentì a Buzzati di decidere finalmente di dichiararsi anche pittore. A dicembre del 1958, alla galleria milanese dei Re Magi, tenne la sua prima mostra personale. Accoglienza tiepida, per non dire peggio, tanto dagli amici letterati quanto dalla critica d’arte. Ma Buzzati aveva imboccato una strada senza ritorno. Nel 1960 esce “Il grande ritratto”, primo romanzo italiano di fantascienza “d’autore”, e nel 1963 arriva il discusso “Un amore”. Saranno i suoi ultimi testi solamente scritti.
Nel 1963 il Corriere lo manda in Giappone come inviato speciale per raccontare Tokio, che l’anno seguente avrebbe ospitato le Olimpiadi. Buzzati scopre gli ideogrammi, quel segno essenziale che è insieme forma e contenuto. Un’illuminazione. L’anno dopo alla Biennale di Venezia arriva la Pop Art. Nuova rivelazione. Warhol, Liechtenstein, Oldenburg e il loro giocare con la pubblicità, la fotografia e il fumetto sconvolsero Buzzati, che ando a New York per conoscerli e intervistarli tutti, uno per uno.
Nel 1965 concepisce un progetto del tutto nuovo: creare un libro in cui fondere parola e immagine. Ci vollero quattro anni per convincere la Mondadori ad accettare la sfida. Nacque “Poema a fumetti”, che i librai non sapevano neppure in che scaffale esporre. Suo padre era morto nel 1920 di cancro al pancreas. Buzzati se lo sentiva, una minaccia immanente come il “Colombre” del suo racconto del 1966. E aveva fretta di lavorare, raccontare e soprattutto dipingere sempre di più e in un modo sempre più innovativo.
Nella sua ultima estate, ormai raggiunto da quello stesso male, dipinge e dà alle stampe il suo ultimo libro: “I miracoli di Val Morel” con quella raccolta di 39 ex voto immaginari che raccontavano gli interventi miracolosi di Santa Rita. La Val Morel è l’arcadia perduta della montagna lontana dai riflettori e dal turismo di massa, Santa Rita è una Wonder Woman che come i nuovi supereroi scende a salvare quell’umanità spaurita che con il boom ha perso radici e valori, come i ragazzi di vita raccontati da Pasolini. Un libro coraggioso, apparentemente senza capo né coda, e invece un “romanzo destrutturato” com facevano in quegli anni le avanguardie degli OuLiPo in Francia o coe avrebbe fatto Italo Calvino qualche anno dopo, con “Le città invisibili”, “Se una notte d’inverno un viaggiatore” o “Il castello dei destini incrociati”.
Insomma un precursore, un visionario capace di cristallizzare le atmosfere e le paure della sua epoca. I “Miracoli” uscirono a novembre del 1971. Ma il suo Colombre ormai bussava alla porta. L’8 dicembre Buzzati entrò in clinica e non ne sarebbe più uscito. Morì a Milano il 28 gennaio del 1972. Nevicava.
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3 commenti
Ester Cason
Bellissimo! Un pezzo molto sentito e con tante informazioni nuove …ben collegate su questo nostro amato concittadino….
Luigi Franco Piacentini
Grazie ! Un bellissimo ricordo !!! Saluti cordiali da Franco Piacentini
Luigi Franco Piacentini
Grazie ! Un bellissimo ricordo !!! Saluti cordiali da Franco Piacentini