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Sette anni da Vaia, Berton: «Ci ha dato una nuova mentalità»

La tempesta raggiunse il suo culmine il 29 ottobre 2018

La tempesta Vaia si verifica a fine ottobre 2018. Dopo giornate di caldo anomalo, con temperature su valori estivi anche superiori ai 30°, venerdì 26 ottobre il tempo inizia a cambiare e si annuncia l’arrivo di una forte perturbazione, con venti di favonio. Sabato 27 ottobre cominciano le precipitazioni e si fanno torrenziali, con imponenti accumuli in poche ore; si verificano le prime frane ed esondazioni. Nel tardo pomeriggio di domenica 28 le precipitazioni sembrano placasi. Ma il culmine della tempesta Vaia arriva nel pomeriggio e soprattutto la sera di lunedì 29: le piogge raggiungono il culmine, con venti di scirocco che sfiorano i 200 km all’ora; si verificano enormi frane e smottamenti, il sistema idrogeologico della provincia di Belluno viene profondamente segnato e altrettanto accade alle aree boscate, con milioni di alberi abbattuti in provincia di Belluno.

Dalla gestione del disastro come modello di efficienza e comunità, alla necessità di una vera politica industriale del legno, fino alle sfide del cambiamento climatico, del bostrico e della transizione energetica. Nel settimo anniversario della tempesta Vaia, la presidente di Confindustria Belluno Dolomiti Lorraine Berton risponde alle domande dell’Amico del Popolo.

Presidente Berton, a sette anni da Vaia, quali lezioni restano più vive per il Bellunese e per l’intero sistema produttivo di montagna?
«Dalla gestione di Vaia siamo usciti con nuove consapevolezze che ci devono portare ad adottare non solo nuove soluzioni, ma soprattutto una nuova mentalità. Penso, ad esempio, ai rischi del cambiamento climatico, che non possono più essere sottovalutati. Le tante frane attive sul territorio – come quelle sulla strada di Alemagna, registrate questa estate – sono solo la punta dell’iceberg. Vaia ci ha insegnato che non possiamo più permetterci di considerare certi eventi come eccezionali o lontani: la montagna è fragile, ma può essere anche un laboratorio di resilienza, se accompagnata da politiche intelligenti e da una visione condivisa».

Vaia ha riportato al centro il tema della gestione delle foreste e del legno. Che quadro vede oggi?
«La gestione del disastro Vaia ha svelato i punti di forza ma anche di debolezza del nostro sistema, confermando che serve una nuova strategia nella valorizzazione del legno, una materia prima che per troppo tempo abbiamo sottoutilizzato, fino a diventare importatori. Eppure, oltre il 60% del territorio provinciale è coperto di foreste, circa 220 mila ettari. Nel Bellunese, come in Veneto – penso all’Altopiano di Asiago o alla Lessinia – non esiste carenza di materia prima: manca semmai la volontà di dare fiducia a una filiera completa. Vaia ha posto il problema in maniera seria».

Ci sono stati segnali positivi dopo quella tempesta, nell’ambito della filiera del legno?
«Sì, con Vaia sono nate nuove imprese, diversi giovani si sono avvicinati al settore, sono aumentati i progetti innovativi per l’uso della risorsa legno in chiave green e sostenibile. Le aziende già operanti nel comparto hanno aumentato la forza lavoro. È un trend che le associazioni di categoria e le Camere di Commercio hanno registrato chiaramente: nel 2021, tre anni dopo Vaia, si contavano 39 nuove iscrizioni di imprese tra Belluno, Vicenza e Verona, le province più colpite dagli schianti. Ma ovviamente non basta. All’appello continuano a mancare le grandi imprese e le segherie dismesse nei decenni, sia le grandi sia le “valligiane”. È un patrimonio che deve essere ricostruito con una politica capace di supportare gli investimenti e di ripristinare condizioni di vera competitività».

Lorraine Berton, presidente di Confindustria Belluno Dolomiti.

Competitività che resta complicata, anche per la concorrenza dell’Est Europa.
«Esattamente. I costi nell’Est Europa restano irrimediabilmente più bassi. Per questo tanti camion – caricati con il legno di Vaia – hanno preso quella direzione, magari per poi ritornare e concludere il processo produttivo. È un dato di fatto, e su questo dobbiamo riflettere in modo sistemico. Penso che nella nuova stagione di programmazione europea 2028-2034 ci debba essere spazio per la ricostruzione delle filiere forestali. È un ragionamento che può essere portato avanti anche a livello alpino, per un effettivo riequilibrio. La “Macroregione Alpina” non è un’idea del passato, ma una dimensione economica vera e concreta».

Lei parla della necessità di una vera politica industriale del legno. Cosa intende?
«Senza segherie sul territorio, in grado di governare la fase intermedia della lavorazione, non avremo mai una filiera corta e davvero sostenibile. Su questo dobbiamo ragionare anche con i nostri vicini – dal Trentino Alto Adige al Friuli Venezia Giulia – e costruire una strategia comune. In fondo, dobbiamo replicare per la filiera del legno ciò che vediamo in campo agroalimentare o nella stessa occhialeria, di cui restiamo ambasciatori nel mondo. Il “Made in Italy” può e deve valere anche per il legno: per i suoi prodotti, per il suo grado di innovazione, per il suo essere davvero green e sostenibile. Detta in altri termini, serve una vera politica industriale del legno, che tenga conto delle condizioni mutate degli ultimi anni: dai cambiamenti climatici, che pongono le nostre foreste sotto stress, alle nuove sfide in ambito energetico. Con Vaia, la valorizzazione del legno è ritornata centrale: tutti gli sforzi compiuti non solo vanno sostenuti, ma rilanciati. Solo così dimostreremo di aver imparato qualcosa da un disastro che ci ha colpiti tutti come bellunesi e come gente di montagna».

A proposito di energia: che ruolo può avere il legno in una transizione sostenibile?
«Nessun ragionamento sulla risorsa legno può prescindere dal suo utilizzo a scopi energetici. Penso alle biomasse da sottoprodotti forestali: serve la massima attenzione e politiche pubbliche precise. È il caso del teleriscaldamento e della generazione di energia elettrica: un’alternativa più sostenibile e pulita rispetto alle caldaie tradizionali alimentate da combustibili fossili, che consentirebbe l’uso di risorse locali, come gli scarti di legno che una filiera strutturata può mettere a disposizione. Favorire la generazione di energia e implementare le reti di teleriscaldamento potrebbe consentire di perseguire più obiettivi, affrontando in modo intelligente problematiche che non possono travolgerci. Ad Asiago, per esempio, si sta realizzando una rete di teleriscaldamento modernissima e innovativa: credo sia un modello cui ispirarsi».

Il bostrico continua a rappresentare un’altra emergenza per i boschi.
«Sì, il bostrico è una problematica che sta imponendo ai nostri boschi e ai nostri paesaggi dolomitici uno stress che, a differenza di eventi come Vaia – fortunatamente episodici – rischia di diventare endemico e costante, se non affrontato con decisione e rapidità. Anche qui serve una strategia di lungo periodo, integrata con le politiche forestali e con le nuove tecnologie energetiche».

Guardando indietro, come giudica la reazione del territorio a Vaia?
«Vaia è stata, e continua a essere, un banco di prova per le imprese e per il mondo istituzionale. Il modello messo in piedi subito dopo l’emergenza ha funzionato in maniera quasi impeccabile, dimostrando operatività e vicinanza alle esigenze dei territori. Il ripristino delle aree danneggiate è stato rapido, sicuro e sostenibile. In quella fase, le nostre aziende – che conoscono la montagna, i suoi ritmi e i suoi luoghi – sono state fondamentali nel garantire interventi mirati, efficienti e davvero risolutivi. È stato un lavoro corale, del quale dobbiamo essere tutti orgogliosi: siamo ripartiti con una forza e un senso di comunità straordinari. Abbiamo dimostrato che quello bellunese è un tessuto vivo, dinamico, innamorato della propria montagna».

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