Nelle città contemporanee, la sfida non è tanto costruire nuove infrastrutture, quanto saper utilizzare meglio quelle esistenti, migliorandone l’efficienza e la qualità d’uso. Questo richiede un cambio di prospettiva culturale e progettuale: considerare lo spazio urbano come una risorsa limitata, da gestire con equilibrio, responsabilità e cura. In questa visione trova spazio l’idea di architettura gentile, che privilegia interventi leggeri, rispettosi e inclusivi, capaci di migliorare la vita quotidiana senza stravolgere i luoghi. È una forma di progettazione che mette al centro la persona e le relazioni, favorendo convivenza e senso di comunità.
Su questo piano si inserisce anche l’economia della saturazione, che propone di non crescere costruendo sempre nuove opere, ma di valorizzare ciò che già esiste, ottimizzando l’uso delle infrastrutture e dei servizi disponibili. Nel campo della mobilità urbana, ciò si traduce nella scelta di ridisegnare e riorganizzare lo spazio viario per renderlo più accessibile, sostenibile e condiviso, senza consumo di suolo né interventi invasivi.
Come ben rappresenta il cartello “Rue cyclable / Fietsstraat”, la strada rappresenta uno spazio fisso e limitato, una risorsa già satura sul piano fisico. Quando lo spazio non può aumentare, l’unico modo per migliorare la qualità della mobilità è agire sulla variabile umana: l’atteggiamento, la responsabilità e l’educazione civica degli utenti. In questo senso, la saturazione non è un limite, ma una condizione generativa.

Se la quantità di spazio resta costante, la differenza la fa il modo in cui lo spazio viene vissuto e condiviso, e qui il comportamento civico ha un ruolo fondamentale. Il segnale, con il ciclista posto davanti all’automobile, diventa così una metafora visiva della mobilità responsabile e cooperativa, dove il rispetto reciproco e la consapevolezza collettiva sono le vere chiavi per migliorare la qualità dello spazio urbano.
Le corsie ciclabili (bike lanes) incarnano perfettamente questa logica. Sono strumenti leggeri, reversibili e a basso impatto che consentono di migliorare la sicurezza dei ciclisti e l’ordine della circolazione senza costruire nuove infrastrutture. A differenza delle piste ciclabili, che separano fisicamente i flussi di traffico, le bike lanes favoriscono la convivenza regolata tra biciclette e veicoli a motore, basandosi su fiducia, responsabilità e rispetto reciproco. In questo modello, l’infrastruttura fisica lascia il posto a una infrastruttura sociale, fatta di comportamenti e relazioni: lo spazio resta lo stesso, ma cambia il modo di abitarlo.
Le esperienze europee, come quelle di Monaco, Amsterdam e Bruxelles, mostrano che la sicurezza può nascere dall’attenzione più che dalla separazione. A Bruxelles, ad esempio, la rete “Vélostrades” ha dimostrato che la segnaletica e la cultura civica possono «generare sicurezza attraverso l’attenzione», sostituendo la barriera fisica con una responsabilità condivisa nello spazio urbano.

(Foto LM, Corsie ciclabili a Bruxelles)
Il rapporto “Cycling for a green recovery” (OECD, 2022) sottolinea che «la ridefinizione intelligente dello spazio urbano è una delle leve più efficaci per ridurre l’impatto ambientale e rafforzare il capitale sociale delle città». Allo stesso modo, “Design for cycling cities” (European Cyclists’ Federation, 2021) mostra come «le infrastrutture leggere e flessibili possano stimolare comportamenti cooperativi e promuovere una cultura della responsabilità condivisa».
In questo quadro, le corsie ciclabili non rappresentano un punto d’arrivo ma un punto di partenza verso una mobilità integrata e multilivello, in cui si connettono bike lanes, trasporto pubblico e percorsi pedonali, creando continuità fisica e logica tra i diversi modi di spostarsi.

(Foto LM, Corsie ciclabili a Bruxelles)
L’obiettivo è una città in cui muoversi in bicicletta non sia un atto eccezionale, ma una scelta naturale e quotidiana, espressione di una comunità che fa della responsabilità civica la sua principale infrastruttura. In questa prospettiva, la corsia ciclabile non è soltanto una soluzione tecnica, ma un simbolo culturale: una linea che separa meno e connette di più, restituendo alla strada la sua funzione originaria di spazio pubblico condiviso, dove la sicurezza nasce dall’educazione, dalla fiducia e dal rispetto reciproco. Questi temi sono quindi approfonditi con Pierangelo Vescovi, Capo Ufficio Pronto Intervento e Prossimità del Comune di Trento, che ha seguito da vicino il progetto di introduzione delle corsie ciclabili a Trento.
Commissario Capo Vescovi, qual è la cornice normativa che ha reso possibile l’introduzione delle corsie ciclabili a Trento, e quale logica urbanistica le sostiene?

Le corsie ciclabili sono state introdotte con le modifiche al Codice della Strada del 2020 (articolo 3, comma 12-bis e articolo 182, comma 9-bis del D.L. 76/2020, convertito nella legge 120/2020). Questa norma ha formalizzato la possibilità per i Comuni di destinare una parte della carreggiata al transito dei velocipedi, segnalandola con una linea bianca discontinua che consente la coesistenza tra veicoli e biciclette.
È un provvedimento che nasce per dare risposta all’aumento della mobilità leggera e per offrire maggiore tutela a pedoni e ciclisti, categorie considerate più vulnerabili rispetto al traffico motorizzato. In sostanza, si è voluto introdurre uno strumento agile, capace di migliorare la sicurezza stradale senza ricorrere a interventi infrastrutturali complessi o costosi.
Accanto all’aspetto normativo, c’è una logica urbanistica e culturale che sostiene questa scelta. Le corsie ciclabili sono parte di una visione più ampia di riorganizzazione dello spazio pubblico: non mirano a separare, ma a favorire la convivenza tra diversi tipi di utenti, rendendo più visibile la presenza dei ciclisti e responsabilizzando gli automobilisti.
Si tratta di una misura coerente con la visione europea della “15-minute city”, che punta a ridurre le distanze tra casa, scuola, lavoro e servizi, favorendo una mobilità sostenibile, sicura e di prossimità.
Trento ha scelto di collocarsi in questa prospettiva, sperimentando le corsie ciclabili lungo tratti urbani dove la sezione stradale consente la coesistenza tra traffico motorizzato e mobilità dolce. L’obiettivo non è solo tecnico, ma educativo: promuovere comportamenti più attenti, incentivare l’uso quotidiano della bicicletta e costruire una città dove la sicurezza stradale diventa parte integrante della qualità urbana.

(Foto LM, Trento, Via N. Bolognini)
In poche parole, qual è la differenza tra pista ciclabile e corsia ciclabile? E dove possono essere utilizzate?
Le piste ciclabili e le corsie ciclabili si differenziano per il grado di separazione dal traffico motorizzato. Le piste ciclabili sono infrastrutture fisicamente separate dalla carreggiata: possono trovarsi su un piano rialzato, essere delimitate da un cordolo o da barriere e garantiscono un percorso protetto per biciclette e monopattini. Possono essere esclusivamente ciclabili, ciclopedonali o percorsi misti, a seconda dell’uso consentito.
Le corsie ciclabili, invece, fanno parte della carreggiata stradale e sono individuate da una linea bianca discontinua che riserva uno spazio di transito ai velocipedi. Sono previste dal Codice della Strada del 2020 (articolo 3, comma 12-bis) e possono essere utilizzate anche dai veicoli a motore, ma solo in assenza di biciclette e sempre con l’obbligo di rispettarne la precedenza.
Pur potendo essere realizzate sia in ambito urbano che extraurbano, trovano la loro applicazione più efficace all’interno dei centri abitati, dove la velocità è più moderata e la convivenza tra mezzi diversi è più gestibile. Le corsie ciclabili rappresentano quindi uno strumento di mobilità sostenibile e flessibile, pensato per migliorare la sicurezza dei ciclisti e integrare la rete esistente senza ricorrere a opere infrastrutturali complesse.
In che modo la scelta di Trento si colloca nel quadro europeo delle politiche per la mobilità sostenibile?
L’esperienza di Trento si inserisce pienamente nel quadro europeo delle politiche per la mobilità sostenibile, in coerenza con la strategia del Green Deal e con il nuovo Urban Mobility Framework della Commissione Europea (2021), che incoraggiano le città a ridurre le emissioni, migliorare la sicurezza e promuovere la mobilità attiva. Trento ha adottato un approccio integrato che combina zone 30 km/h, corsie ciclabili, uso dei monopattini e delle e-bike e una forte integrazione con il trasporto pubblico locale. L’obiettivo non è soltanto ridurre il traffico, ma cambiare le abitudini di spostamento, favorendo una rete coerente e una cultura diffusa della mobilità dolce.

(Foto LM, Trento, Via San Martino)
Riconosciuta da Legambiente come la prima città green d’Italia, Trento ha costruito questo risultato nel tempo, puntando su educazione alla sicurezza stradale nelle scuole, incentivi per i dipendenti comunali che usano la bicicletta, e un costante investimento nella rete ciclabile urbana. È un percorso che valorizza la partecipazione civica e la responsabilità individuale, perché la mobilità sostenibile è una scelta culturale e sociale, oltre che tecnica.
L’approccio trentino è graduale, sperimentale e reversibile: non punta solo alla realizzazione di infrastrutture, ma alla costruzione di una cultura della convivenza sulla strada, in cui la bicicletta e i mezzi pubblici diventano parte integrante di un nuovo equilibrio urbano e di una migliore qualità della vita.
Quali sono stati i primi risultati e le reazioni della cittadinanza?
Come spesso accade quando si introducono novità che incidono sulle abitudini quotidiane, anche a Trento le reazioni iniziali sono state diverse. C’è stata una parte di cittadini favorevoli, che hanno accolto positivamente le corsie ciclabili come segnale di modernità e attenzione alla sicurezza, e un’altra più scettica, preoccupata per la riduzione degli spazi destinati ai veicoli o per la difficoltà di adattarsi a nuove regole di convivenza.
Nelle prime settimane si è registrata una certa diffidenza, sia da parte di alcuni automobilisti sia da parte di pedoni poco abituati a condividere gli spazi con ciclisti e monopattini. Anche tra i ciclisti non sono mancate resistenze: chi usa la bicicletta quotidianamente tende a percepire con forza i propri diritti, ma a volte dimentica che la sicurezza nasce dal rispetto reciproco. Con il tempo, notiamo che la situazione sta cambiando. Oggi si nota una maggiore attenzione reciproca tra utenti della strada e una più alta consapevolezza dei comportamenti corretti, tanto da poter constatare un aumento del rispetto da parte degli automobilisti nei confronti di pedoni e ciclisti, soprattutto negli attraversamenti e nei tratti più frequentati.
I primi mesi di sperimentazione hanno dato risultati concreti: l’utilizzo della bicicletta è aumentato in modo costante, la velocità media dei veicoli si è ridotta e la circolazione risulta più fluida e sicura. Questa trasformazione conferma quanto evidenziato anche a livello europeo dal European Transport Safety Council nel rapporto “Shared Streets, Shared Responsibility” (2023), secondo cui la sicurezza stradale è prima di tutto un prodotto sociale, frutto di comportamenti condivisi più che di infrastrutture.
Dal punto di vista educativo, la bike lane ha un valore formativo importante. La segnaletica, semplice ma ben visibile, contribuisce a creare cultura civica e senso di corresponsabilità, mentre le iniziative di sensibilizzazione promosse dal Comune e dalla Polizia Locale, anche con il supporto dei media, hanno aiutato a spiegare regole, vantaggi e finalità del progetto. È proprio in questo equilibrio tra informazione, educazione e sperimentazione che si misura il successo di Trento: la mobilità sostenibile non è solo una questione tecnica, ma un esercizio quotidiano di cittadinanza consapevole.

(Foto Comune di Trento, Via Maso Smalz)
Come sta cambiando la cultura della mobilità a Trento e quali prospettive future immaginate per la mobilità ciclabile e condivisa?
Il vero cambiamento non è solo nelle infrastrutture, ma nella cultura della mobilità. Negli ultimi anni a Trento è cresciuta la consapevolezza che la sicurezza stradale e la sostenibilità dipendono dai comportamenti quotidiani di ciascuno. Significativo, in questo senso è il percorso educativo svolto dalla Polizia Locale nelle scuole primarie e secondarie dove si lavora sul rispetto delle regole, sulla conoscenza della segnaletica e sull’uso corretto della bicicletta e dei monopattini. L’obiettivo è formare una nuova generazione di utenti attenti e responsabili, abituati a condividere lo spazio pubblico.
Parallelamente, il Comune e la Polizia Locale stanno intensificando la presenza sulle strade con azioni di controllo e di accompagnamento educativo. Non si tratta solo di sanzionare, ma di far capire il senso delle regole. In questo contesto, si sono svolte anche iniziative sperimentali in cui gli agenti si muovono in bicicletta, proprio per dialogare direttamente con i ciclisti e promuovere un comportamento corretto “da ciclista a ciclista”.
Un’attenzione particolare è rivolta alle strade montane e ai percorsi extraurbani, dove si incontrano utenti molto diversi – automobilisti, motociclisti, ciclisti e pedoni – e dove il rischio è maggiore. In questi tratti sono stati organizzati controlli congiunti, in particolare sul Monte Bondone, per monitorare la velocità dei veicoli motorizzati e tutelare la sicurezza dei ciclisti. I dati mostrano che, grazie a questi interventi, la velocità media si è ridotta e la convivenza è migliorata.
Tra le categorie più difficili da gestire ci sono i monopattini, spesso utilizzati senza piena consapevolezza delle regole. Dopo una prima fase di disordine, le campagne di informazione e i controlli mirati, si riscontra un leggero ma apprezzabile miglioramento da parte dei conducenti: oggi l’uso dei monopattini è più attento, e si diffonde la percezione della necessità di un rispetto più ampio per gli altri utenti della strada.
L’approccio scelto da Trento unisce quindi prevenzione, educazione e controllo: una strategia che non si limita a ridurre le infrazioni, ma che punta a costruire una cultura della responsabilità condivisa, condizione indispensabile per sviluppare una mobilità davvero sostenibile e sicura.

(Foto Comune di Trento, Via Pasubio)
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2 commenti
Giuseppe
Nel resto d’Italia con maggior realismo si sta sperimentando il marciapiede variabile, nel quale c’è spazio per pedoni, ciclisti, monopattini, auto e bici in sosta, panchine, passicarrai… Anche la segnaletica orizzontale è variabile, dipende dalla volontà del sindaco e dalle casse comunali, mentre quella verticale è sempre assente. Assenti sono pure gli agenti della polizia locale…
Daniele
Chiamatela pista, corsia, passaggio ecc… Chiamatela come volete, la sostanza non cambia. I ciclisti continueranno a stare in mezzo alla strada, in doppia fila, fregandosene totalmente di semafori, sensi unici ecc…. E quai a dirgli qualcosa… Sono intoccabili…. Sicuramente in Italia manca la culturale di base del muoversi in bici come avviene per esempio nei paesi del Nord Europa. Manca senza dubbio dalla parte delle istituzioni ma prima di tutto dai ciclisti stessi che pensano di essere in ogni strada come se fosse un velodromo.