Con San Martino si chiude l’annata agraria e ne inizia una di nuova: è tempo di bilanci, una volta anche di preoccupazioni (i coloni potevano dover abbandonare il podere), di riposo della terra, ma anche di progettualità.
Nei nostri orti tutto racconta di una stagione che volge al termine: piante di zucchine avvizzite, melanzane e peperoni con ancora qualche frutto mal conciato, aiole vuote, qualche cipolla sfuggita al raccolto estivo che compare inaspettatamente ora che la vegetazione più rigogliosa si fa da parte, prezzemolo nell’ultimo vigore vegetativo.

Ma, per chi è stato previdente, ancora molte soddisfazioni sono in arrivo. È sul finire di luglio – primi di agosto, infatti, che va pensato “l’orto autunnale”, orto autunnale che io trovo meraviglioso: raccogliere verdura a novembre nella nostra provincia montana, quando ormai di notte la temperatura va sotto zero e giornate limpide e serene si alternano ad altre uggiose, se non piovose, dà una certa soddisfazione, non solo per il palato.
Nel mio orto, per esempio, è ora il tempo del sedano rapa e della schiera di cavoli: dai cavoli cappucci ai cavoletti di Bruxelles, dalle verze agli ultimi broccoli, dai cavolfiori tardivi al cavolo nero. E che dire dei radicchi? Quello di Treviso, che poi “imbiancheremo” nell’inverno, quello di Lusia e quello di Castelfranco, con i suoi splendidi colori; per non parlare delle corpose “pannocchie” del pan di zucchero. Immancabili in questa stagione sono i porri, in ogni orto che si rispetti. Sto raccogliendo peraltro anche gli ultimi finocchi, con il loro inarrivabile aroma di anice che si sprigiona appena ne tagliamo le foglie.
Si, con poco sforzo possiamo ancor imbandire la nostra tavola di verdura fresca auto prodotta, anche in pieno novembre.
Certo, il freddo si fa pressante, e allora io sono solito in prima battuta coprire i radicchi con del tessuto non tessuto, che evita a questi ortaggi uno stress che ne potrebbe compromettere lo stato. Ma, si sappia, ai radicchi invernali non fa male prendere qualche gelata.
I radicchi di Treviso tardivi, invece, li lascio all’aria, tanto di loro, d’inverno, se ne gusterà il nuovo tenero e gustoso germoglio, stimolato da una permanenza delle radici in acqua in ambiente un po’ più caldo.
Più avanti, verso i primi di dicembre, copro le verdure anche con dei tunnel di nylon, o le ripongo all’interno di questi, in modo da poterle conservare fino a primavera.
A proposito di primavera, ho da poco messo a dimora un po’ di bulbilli (“reste” in dialetto bellunese) di aglio ed è questa una delle cose che mi piace più fare nell’orto autunnale, cioè seminare quando tutto pare consigliare il contrario.
Alla stessa stregua, un’aiola di insalata delle Dolomiti è appena germinata; trascorrerà l’inverno e al primo tepore di febbraio inizierà a germogliare, così da poterne raccogliere già in marzo, assieme al grumolo verde, le cui belle rosette, ora che le erbacce vanno sparendo, danno bella mostra di se in un’aiola dell’orto e fra le file del granoturco, dove avevo seminato questa cicoria ancora in giugno, dimenticandomi poi di lei.
Non mi stancherò mai di apprezzare come l’attività dell’orto mi connetta con la natura, con lo svolgersi delle stagioni, con l’alternanza del bel tempo e del cattivo tempo, con le lune, con la fisicità del corpo che fatica e della mente che osserva, pensa, ammira.
Alla fine, non guasta mai, una gustosa e sana pietanza che finisce nel piatto è una soddisfazione impagabile.
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1 commento
Eugenio facchin
Bravo, bendetto. Si, è una soddisfazione straordinaria, prima di tutto personale poi: seminare, piantare, vedere, pensare e lavorare con dovizia, poi raccogliere. L’occhio è contento. Il mangiare del proprio orto è straordinario specialmente se è prodotto senza pesticidi. Buon lavoro.