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venerdì 5 Dicembre 2025,

Il politologo Feltrin: “Tra astensionismo e leader, il Veneto cambia pelle”

Affluenza in caduta libera e dominio dei leader: il politologo Feltrin avverte sui rischi per la democrazia, analizza il voto veneto e interroga il futuro della Lega tra Zaia e il “nuovo” Stefani.

“Questa percentuale di votanti, mette a rischio lo stesso funzionamento di un sistema democratico. Non possono funzionare sistemi nei quali oltre il 50 per cento degli elettori non si reca ai seggi”. Il politologo Paolo Feltrin già docente di Scienza della politica all’Università di Trieste, non ha dubbi, nell’indicare la notizia più altisonante, relativa alle elezioni Regionali in Veneto, di domenica scorsa. Accanto a questo, Feltrin sottolinea l’affermazione di Luca Zaia: “Ennesima conferma che non esistono più i partiti, ma solo i leader”. Ed è curioso di vedere all’opera il nuovo presidente, Alberto Stefani: “Sarà un clone di Zaia, o rappresenterà il Veneto che viene?”.

Andiamo con ordine, professore. Il dato sull’affluenza alle urne, anche se non è una novità, è clamoroso. Dobbiamo, dunque, preoccuparci?

Assolutamente sì, quando c’è una fetta così grande di società che non si esprime, non si sa mai cosa potrebbe capitare, in che modo potrebbe, appunto, esprimersi, è un fuoco che cova sotto la cenere. Tra l’altro, a causa della privacy, i ricercatori non possono avere accesso alla banca dati di chi non vota, al loro identikit. Una riflessione seria va fatta.

Ma come si potrebbe agire?

Tutti lanciano l’allarme, ma poi non fanno niente per cambiare le cose. Le Istituzioni devono avere a cuore la buona qualità dei procedimenti elettorali, e agire di conseguenza. In primo luogo, come avviene alle Politiche, occorre distinguere il registro degli elettori italiani ed esteri. Se lo avessimo fatto, avremmo scoperto che in realtà, in Veneto, ha votato il 51% dei residenti in Italia. Il fenomeno è particolarmente vistoso a Belluno.

In ogni caso, pochi lo stesso…

Certo che sì. Io, in passato, affermavo che non era positiva una percentuale di elettori troppo alta, potremmo definirla “bulgara”. Pensiamo che in Veneto, nel 1975, votava il 95% degli elettori. Un calo degli elettori poteva essere definito fisiologico, ma qui siamo passati alla patologia. Ci sono delle scelte che potevano essere fatte diversamente. Anzitutto, e qui la responsabilità è del Governo veneto uscente, perché scegliere di andare a votare il 23 e 24 novembre, con il gelo e la neve, e non, invece, a fine settembre, come cinque anni fa? Perché non concentrare le Regionali in un’unica data, consentendo un maggior impatto informativo? Perché non trovare modalità alternative di voto, come avviene negli altri Paesi? Ripeto, la questione va posta in modo serio e complessivo.

Veniamo, ora, ai risultati. Vince Stefani, vince soprattutto la Lega, non è così?

Più che altro, queste elezioni sono la conferma che i partiti non esistono più. Ci sono i leader, che si chiamano Meloni, Zaia, Decaro, Fico… perfino Szumski. La gente, di elezione in elezione, cambia perché guarda al leader che è presente in quel momento. Alle Europee c’era Giorgia Meloni, e molti l’hanno votata. Stavolta, non c’era Meloni, ma Zaia. E, in tanti, si sono spostati su Zaia. Sono processi che avvengono nel silenzio, le persone un po’ si vergognano, mentono se vengono interpellate, e così capita, come è successo in questa occasione per sondaggi ed exit poll, che il risultato della Lega sia stato sottostimato dalle inchieste.

In fondo, però, Zaia ha finito per dare ossigeno a Matteo Salvini. Oppure, ora, correrà per un progetto più grande?

Zaia continua a vivere una contraddizione interna: non puoi pretendere di essere il veneto che più veneto non si può, e al tempo stesso avere un ruolo nazionale. In fondo, i leader democristiani veneti, quando andavano a Roma, avevano un progetto per l’Italia. Finora, l’ex presidente ha rifiutato qualsiasi ruolo nazionale, perfino quello di presidente della Conferenza Stato-Regioni. Ora deve decidere, se vuole continuare a essere “il più veneto dei veneti” o se vuole guardare al mondo, prendendo atto che il Veneto rappresenta meno del 10 per cento del Paese.

Un problema, quello del ruolo del Veneto, che va anche oltre Zaia…

Mi ha colpito un ragionamento che veniva fatto, nei giorni scorsi, da Elena Donazzan europarlamentare di Fratelli d’Italia ed ex assessora regionale. In fondo, diceva, il Veneto ottiene poco o nulla anche perché sostiene che può farcela da solo, si vanta di sapersi arrangiare. E gli altri dicono: “Benissimo, fate voi!”. Pensiamo alla Superstrada pedemontana. E se, ora, ci ritroviamo con un bel po’ di debiti, la causa è anche perché abbiamo voluto stare da soli.

La prossima battaglia di Zaia, non a caso, potrebbe essere il “partito bavarese”, una Lega autonoma che si federa al partito nazionale. Si tratta di un nuovo “mito”, come lo yeti o il mostro di Lochness, o uno scenario possibile?

Se fossi a Roma direi: se vuoi il “partito bavarese”, chiedilo! Poi, però, qui governiamo noi. Io, personalmente, non ho mai creduto a scenari di questo tipo, ma ammetto che erano ipotizzabili quando il modello veneto aveva successo, aveva una sua specificità, oggi mi sembra che si tratti di un retaggio del Novecento, del passato.

Cosa è cambiato?

C’è un dato che spiega molte cose: tra il 1995 e il 2023, il Pil del Veneto è sceso, nella classifica delle regioni europee, dal 32° all’85° posto. La realtà è che il famoso modello veneto ha avuto successo in una fase di transizione, tra la società industriale e l’attuale terziario a forte tasso tecnologico. Oggi, chi vagheggia quella stagione, può al massimo, parlare di “declino felice”, in fondo, mediamente, restiamo ricchi. Accade come nel recente film “Le città di pianura”, che descrive il tramonto della classe prima operaia, e poi artigiana, del Veneto, e ora si dà al bere. Certo, alle elezioni regionali il tasso di “venetismo” è stato ancora molto alto, se si sommano i risultati di Lega, Liga Veneta Repubblica e Resistere Veneto di Szumski, parliamo di circa il 43 per cento dei voti… Il rischio è di invecchiare, “declinando felici”. Però, i giovani prendono atto del declino felice, e se ne vanno.

Non le sembra una visione troppo pessimista?

C’è, naturalmente, anche l’altro lato della medaglia, che mi incuriosisce molto: c’è il Veneto che ci spera e ci crede, e il Veneto che va al bar. Ma c’è, in questo, la novità di un presidente di 33 anni, un “homo novus”. Il più giovane presidente di Regione, con un curriculum già molto diverso, da quello di Zaia: consigliere comunale, sindaco, deputato, un dottorato in Diritto… Sarà il clone di Zaia o sarà la rivoluzione nella Lega? Altra novità: la candidatura plurima di Zaia, abbinata alla doppia preferenza di genere, ha portato a un gruppo leghista composto da numerose donne, e la presenza femminile è forte anche nelle altre liste.

In tutto questo dibattito, il centrosinistra continuerà a non toccare palla?

In questa occasione non c’è stata storia, ma il risultato del centrosinistra è stato accettabile, e così pure quello del Pd, assieme alle liste d’appoggio. Una piattaforma da cui ripartire. Dopo di che, si torna al tema dei leader. Non necessariamente il Pd non tocca palla… alle Europee del 2014, in piena era Renzi, fu il primo partito, in Veneto. Il leader conta tantissimo, lo si è visto, dall’altra parte, con Fratelli d’Italia, che in Veneto non ha leader.

Bruno Desidera

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