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venerdì 5 Dicembre 2025,

Cos’è quell’antro scuro che fissa Longarone dall’alto?

Di Giorgio Fontanive

Salendo verso Longarone sull’Alemagna, prima di Faè sull’altra sponda della vallata si profilano le case di Provagna e poi di Dogna, le frazioni della sinistra Piave nel comune di Longarone, alla base del bastione occidentale del Monte Tòc, d’infausta memoria. La rotondeggiante propaggine, lavorata dall’antico ghiacciaio del Piave, nelle mappe è denominata Monte Ranz o Ranzon, anche se in loco la si indica con lo sconosciuto e vetusto toponimo di Embulon.

L’importanza dell’antico insediamento di Dogna, probabilmente di origine romana, dal momento che vi è stato rinvenuto un sepolcreto con vari reperti, oggi si ritrova anche nella cartellonistica del Touring Club (cui si aggiunge un più recente pannello), sopravvissuta alle vicissitudini storiche e dopo che, nel 1917, anche il capitano Rommel oltrepassò il Piave proprio qui scendendo dal Colombèr in bicicletta carpita alla retroguardia italiana.

La targa del Touring Club con le principali indicazioni per conoscere Dogna; si trova colà da oltre 75 anni.


Ma nel secondo dopoguerra Dogna contava ancora 250 abitanti e, nel compresso centro storico dalle strette viuzze, fervevano molte attività a carattere familiare legate all’allevamento e all’artigianato, ma non sufficienti a garantire possibilità di sviluppo, inducendo così l’emigrazione. Poi venne la Sade e molti salirono alla diga in costruzione al Colombèr, perché la vecchia strada del 1911 aveva inizio proprio qui: Dogna era l’ultimo paese bellunese prima del confine con la provincia di Udine, in Val Vaiont, un’area ancora più povera.

Oggi la stretta via poco frequentata che attraversa l’antico villaggio è ricca di particolarità architettoniche di un’arte tutt’altro che povera, con elementi costruttivi di assoluta valenza, curiosità e reperti riutilizzati, talvolta dissimulati nei muri delle case, ma gli edifici sono disabitati e l’erba cresce ovunque. Nella piazzetta centrale esisteva la vecchia fontana, demolita nel 1958, quando anche qui è giunto il progresso; fu poi ricoperta da alcune decine di centimetri di ghiaia, rialzando il piano viabile. E oggi? Forse un centinaio di abitanti, pochi giovani e giovanissimi (forse una decina in età scolare) e tanti ricordi, come racconta la raccolta privata dell’attento e nostalgico Natalino, che ha trasformato alcune stanze della vecchia magione in un piccolo museo della memoria di ciò che erano la sua famiglia e il suo paese natìo.

Qui, sul versante dove si appoggiano le ultime case di Dogna, c’è un’evidenza geologica ben individuabile a oriente di Longarone: si tratta di un singolare antro che, soprattutto con condizioni di luce favorevole, svela il suo duplice aspetto di arco di roccia che emerge dalla coltre boscosa. Il sito domina il paese di Dogna, da dove un buon sentiero, in parte segnalato, conduce fino all’arco affondato tra le rocce boscate, ma la vista è senz’altro migliore da lontano.

Recentemente, con una direzione dei raggi solari, l’arco mi è apparso immediatamente un’altra cosa: il grande occhio di un cetaceo, con la pupilla che osserva lo spettatore; complice, poi, anche la conformazione del Monte Ranzon, che disegna e ben riproduce le forme arrotondate del capodoglio. Ed è per questo motivo che, venuto a conoscenza del fatto che questa particolarità naturale di Longarone non avesse avuto una specifica divulgazione, ne ho colto la valenza proponendo qui il toponimo ‘‘L’occhio della Balena’’, con cui d’ora innanzi potrebbe essere identificato.

V’è da dire che il recente sopralluogo ha svelato uno scenario insospettabile, anche se, in verità, osservando con il binocolo in precedenza, talvolta avevo notato dei movimenti di corda e opere della mano dell’uomo. La sorpresa si è resa manifesta già a Dogna, dove, accanto al posteggio centrale del piccolo parco, compare la segnaletica verticale che indica la direzione per “La Tana dell’Orso”, falesia di drytooling. E qui, dopo circa 45 minuti di cammino, una sorpresa.


Sul numero 47 dell’Amico del Popolo “di carta” del 27 novembre, in distribuzione questa settimana (su abbonamentoin edizione digitale e in edicola), puoi leggere per intero l’articolo di Giorgio Fontanive.

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3 commenti

  • Ho letto con grande interesse notizie che non conoscevo.Spero di poter fare un’,escursione in quei posti… età /83/ e salute permettendo.Grazie

  • Buongiorno, mi riferisco all articolo su Dogna pubblicato sul n 47 del 27 novembre u.s.
    Leggo nell articolo che l’antro sopra Dogna viene chiamato con dei nomi come “occhio della balena” o “tana dell’orso”. Non credo che costoro che hanno coniato questi nomi e che ogni tanto transitano per la SS51 abbiano mai interpellato chi ci abita sotto. Il nome è “landron” e sarebbe auspicabile mantenere tale nome per rispetto della memoria storica e di chi da sempre lo ha chiamato “landron”.
    Grazie.

    • Hai ragione, anche in ladino “landro” significa grotta naturale.

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