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venerdì 5 Dicembre 2025,

Dalla spada al vomere: Isaia annuncia la pace che nasce dalla Parola

Verranno molti popoli e diranno: «Venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci insegni le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri».

Messaggio che Isaia, figlio di Amoz, ricevette in visione su Giuda e su Gerusalemme. Alla fine dei giorni, il monte del tempio del Signore sarà saldo sulla cima dei monti e s’innalzerà sopra i colli, e ad esso affluiranno tutte le genti. Verranno molti popoli e diranno: «Venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci insegni le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri». Poiché da Sion uscirà la legge e da Gerusalemme la parola del Signore. Egli sarà giudice fra le genti e arbitro fra molti popoli. Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra. Casa di Giacobbe, venite, camminiamo nella luce del Signore (Isaia 2,1-5).


Per quarant’anni Isaia svolgerà con passione e fedeltà il compito affidatogli da Dio: annunciare la sua parola. L’epoca in cui vive – la seconda metà dell’VIII secolo a.C. – è piuttosto burrascosa: in tutto l’antico Vicino Oriente si alternano momenti di tranquillità e periodi turbolenti con invasioni, devastazioni e deportazioni da parte della potenza assira che domina la scena internazionale.

È in questo contesto che il profeta introduce l’annuncio di un evento straordinario e inatteso, che si realizzerà in un remoto futuro. Non lo descrive in modo puntuale e circostanziato, come se si trattasse di un fatto di cronaca, ma lo tratteggia con immagini poetiche.

Come rapito in estasi e con lo sguardo fisso verso la fine dei tempi, pronuncia il suo oracolo. Ecco – dice – un giorno il monte del tempio del Signore si eleverà al di sopra di tutti i monti e di tutti i colli e diverrà il punto più alto della terra.

Nella sua visione, il profeta osserva tutti i monti sacri e vede che si abbassano fino a scomparire, sovrastati dal monte del tempio, verso il quale l’intera umanità ora volge lo sguardo perché solo da Sion può attendersi la salvezza.

Poi il profeta scorge una folla immensa di pellegrini di ogni popolo, razza, lingua e nazione, che si dirige verso il santuario. Hanno forse rinunciato a salire sui loro monti attratti dalle pratiche religiose degli israeliti? No, non si recano a offrire sacrifici, olocausti e incensi che il Signore ha appena ripudiato. Salgono al tempio del Dio di Giacobbe per ascoltare la parola del Signore e apprendere «le sue vie».

Frutto di questo accostarsi al Signore e dell’ascolto della sua parola è la pace, descritta con immagini suggestive. Gli strumenti di morte – le spade e le lance – sono trasformati in mezzi di produzione, in vomeri e in falci.

Le risorse del creato che Dio ha messo a disposizione dei suoi figli cessano di essere impiegate per il male, per costruire strumenti di morte, e sono poste a servizio della vita. La storia dell’umanità che è stata un susseguirsi di violenze e di soprusi diviene il regno della giustizia e delle benedizioni di Dio.
Isaia annuncia una pace diversa, non basata sulle astuzie, sui calcoli umani, ma sull’adesione di tutti i popoli – convocati nella «città della pace» – alla parola del Signore. Questa parola cambia i cuori; gli uomini che la accolgono cessano di costruire delle Babele e rinunciano per sempre all’aggressività e all’uso delle armi.

I cristiani hanno visto realizzarsi questa profezia quando, in Gesù, è apparsa nel mondo “la Parola” di pace. Egli «è la nostra pace, è venuto ad annunziare la pace, pace a coloro che erano lontani e pace a coloro che erano vicini».

Fin dai primi secoli gli uomini si sono prodigati a smentire questa interpretazione. Hanno detto che Gesù di Nazaret non poteva essere il vero messia, il pacificatore annunciato dai profeti, perché il mondo nuovo non era ancora apparso. Non continuavano forse gli odi, le violenze, le guerre, le disgrazie, i lutti e i pianti? L’obiezione è seria, ma nasce da un malinteso. Il regno di Dio, la pace universale, non si instaura miracolosamente, senza la collaborazione da parte dell’uomo e si sviluppa lentamente, come il piccolo seme che impiega anni per divenire un grande albero.

Il regno di Dio, la giustizia e la pace universale, non sbocciano miracolosamente, senza la collaborazione da parte nostra, ma crescono lentamente. I tempi di Dio non sono i nostri, dettati dalla fretta. Pace e giustizia necessitano di tempi lunghi.

La frase «Alla fine dei giorni» di cui parla Isaia sono già iniziati. Quando? Con il mistero dell’Incarnazione. Allora perché ancora oggi ci imbattiamo in guerre e ingiustizie? Constatiamo che tanti, troppi conflitti sono ancora aperti. Tutti dal giorno del battesimo siamo stati convocati a partecipare a questo progetto.

Giulio Antoniol

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1 commento

  • Sulle nostre montagne sorgono tante chiese: chissà come mai? È stato sicuramente sfruttato il territorio, con lo scenario naturale, ma si è voluto anche esprimere la fede e la morale cristiana che chiedono a tutti di salire: Venite saliamo al monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe! La vita cristiana è decisione d’intraprendere un cammino in salita, è fatica del salire, è anche innalzamento spirituale, è guardare ad una meta alta e, una volta raggiunta, è spaziare fino all’orizzonte per trovare riposo e pace nell’immensita’ di Dio.
    Pensiamo quante generazioni di persone sono salite e hanno pregato in quelle cappelle…
    Non si accontentavano di quel che la vita dava, ma avevano bisogno di qualcosa di più, di dare senso alle cose che accadevano,… E il senso l’han trovato in Dio, in Gesù, nel Vangelo.

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