In un contesto segnato da profonde trasformazioni demografiche, sociali e culturali – con l’invecchiamento della popolazione, la riduzione dei nuclei familiari, la mobilità crescente e l’erosione delle reti di prossimità – la questione dell’abitare si impone come sfida cruciale. Non si tratta più solo di fornire soluzioni abitative, ma di ripensare il modo in cui si vive, si costruiscono legami e si condivide il tempo e lo spazio. In questo scenario, il cohousing emerge come una delle risposte più innovative e promettenti: un modello che unisce autonomia abitativa e vita comunitaria, spazi privati e servizi condivisi, sostenibilità economica e coesione sociale.
Il cohousing non è solo un nuovo modo di abitare, ma un dispositivo sociale che promuove il benessere, la solidarietà e l’inclusione. Superando la contrapposizione tra pubblico e privato, tra solitudine e anonimato urbano, permette di generare ambienti di vita più densi di relazioni, più accessibili e più resilienti. Le esperienze avviate a Trento dalla Cooperativa SAD e nei comuni bellunesi di Sedico e Sospirolo dimostrano come il cohousing possa diventare una leva concreta di welfare territoriale e di attrattività, soprattutto per le fasce più fragili della popolazione. Come sottolineato nelle interviste raccolte, si tratta di modelli abitativi che restituiscono centralità alla persona, valorizzano il capitale sociale e offrono risposte sostenibili a bisogni reali di cura, partecipazione e qualità della vita.
Intervista a Christian Roldo, sindaco di Sedico

Sindaco Roldo, Sedico e Sospirolo hanno recentemente ottenuto finanziamenti per progetti di cohousing. Cosa vi ha spinto a puntare su questa formula abitativa?
La scelta nasce da un’esigenza concreta: offrire nuove modalità dell’abitare capaci di rispondere ai bisogni reali della comunità. Sedico, come molti comuni di media montagna, si confronta con l’invecchiamento della popolazione, la dispersione abitativa e l’aumento della solitudine, soprattutto tra gli anziani. Il cohousing rappresenta per noi una risposta innovativa, che coniuga sostenibilità, socialità e cura reciproca. Non si tratta solo di costruire abitazioni, ma di rigenerare relazioni.
Nel Bellunese ci sono già esperienze simili?
Al momento no. I nostri sono i primi progetti strutturati di cohousing nella provincia. Possiamo dire che Sedico e Sospirolo stanno aprendo una strada nuova.
Qual è il contesto territoriale e sociale in cui nascono queste iniziative?
Sedico è uno dei comuni più grandi della provincia di Belluno, con oltre il 30% dei residenti sopra i 65 anni. La casa di riposo comunale, con 104 posti letto, è un punto di riferimento anche per i comuni vicini. Sia l’attuale amministrazione che la precedente hanno scelto di sperimentare nuove soluzioni di welfare territoriale, a sostegno delle persone fragili, per alleggerire il carico sulle famiglie e favorire condizioni di vita più autonome, dignitose e prossime ai servizi.
Come si sviluppa il progetto promosso insieme a Sospirolo?
Il primo progetto nasce nell’ambito della Strategia Integrata di Sviluppo Urbano (SISUS) dell’area urbana di Belluno, finanziata con fondi FESR. Sedico è capofila dell’iniziativa, che coinvolge anche il Comune di Sospirolo. Dopo un anno di analisi partecipata, sono stati progettati 9 appartamenti in cohousing: 5 a Sedico, nella frazione di Mas, e 4 a Sospirolo. Gli alloggi, destinati a persone fragili come anziani soli, persone con disabilità o famiglie in difficoltà, sono collocati in aree ben servite e dotati di spazi comuni per la socializzazione. Due unità saranno accessibili e tecnologicamente attrezzate. I lavori inizieranno entro la fine del 2025 e si concluderanno nel 2026.

(Foto: Comune di Sedico)
E il progetto “Abitare assieme”, attivato solo a Sedico?
È un’iniziativa finanziata con i Fondi delle Aree di Confine, nata con la precedente amministrazione e poi ampliata. Inizialmente prevedeva 5 alloggi accanto alla casa di riposo e uno spazio per la medicina di base, per accogliere coppie di anziani autosufficienti in prossimità dei servizi socio-sanitari. Successivamente si è attivata una collaborazione pubblico-privato grazie alla disponibilità del proprietario di un immobile adiacente, che ha permesso di ampliare significativamente il progetto: saranno realizzati altri 8-10 appartamenti, insieme a nuovi uffici e all’ampliamento del nucleo Alzheimer, mantenendo accessi separati tra le funzioni assistenziali e amministrative.
Quali effetti vi aspettate, sul piano sociale e territoriale?
Ci aspettiamo che queste iniziative contribuiscano a rafforzare l’autonomia degli anziani, prevenendo percorsi di istituzionalizzazione. Le 16 unità abitative previste tra Sedico e Sospirolo ampliano concretamente l’offerta per le persone fragili. Inoltre, grazie alla nostra azienda speciale, in collaborazione con i medici di base, stiamo sviluppando servizi domiciliari, mappando i bisogni del territorio e attivando visite a domicilio con assistenti sociali e volontari.
Possiamo considerarlo un esempio di welfare di comunità?
Assolutamente sì. Il cohousing rappresenta una forma concreta di welfare generativo: non sostituisce i servizi pubblici, ma li integra e li rende più vicini alle persone. Questi progetti sono veri e propri laboratori territoriali che si inseriscono in una visione di comunità educante, dove il territorio si fa attore nella costruzione di relazioni e nella cura reciproca.
In chiusura, Sindaco, qual è la visione che ispira questo impegno verso le fasce più fragili?
Crediamo in una montagna che non lascia indietro nessuno. Il nostro obiettivo non è solo realizzare nuove abitazioni, ma creare contesti in cui anche gli ultimi anni della vita possano essere primi per qualità, relazioni e dignità. Vogliamo che ogni persona si senta parte di una comunità che accoglie, si prende cura e continua a generare legami autentici.
Daniela Bottura – Presidente della Cooperativa SAD, Trento

Quando è nato il vostro progetto di cohousing e con quali caratteristiche?
Il progetto di cohousing “Casa alla Vela” è nato nel 2014 come sperimentazione pilota di convivenza intergenerazionale. L’idea era innovativa: mettere insieme giovani studenti e anziani autosufficienti in un ambiente abitativo condiviso, composto da alloggi individuali e spazi comuni. Le prime studentesse sono entrate nell’ottobre 2013, seguite nel corso dell’anno successivo dagli anziani. Nel tempo, abbiamo affinato un modello basato su co-progettazione, facilitazione relazionale e governance condivisa, con una regia professionale composta da educatori, animatori e coordinatori. Tuttavia, la sperimentazione ha anche mostrato alcune criticità: la presenza di giovani funzionava solo quando c’era una reale motivazione alla condivisione. Se l’interesse era esclusivamente abitativo, l’equilibrio relazionale si rompeva facilmente. Nonostante ciò, l’esperienza è stata preziosa per definire i requisiti necessari a un cohousing intergenerazionale realmente efficace.

(Foto: Cooperativa SAD – Trento)
Come è nata l’idea di avviare un cohousing per anziani?
È nata da un ascolto attento. Nella nostra attività di assistenza domiciliare ci siamo accorti che il bisogno più forte degli anziani non era sanitario, ma relazionale. La solitudine emergeva come la vera emergenza. In molti casi, l’unica alternativa alla domiciliarità diventava la casa di riposo, ma per persone ancora lucide e autonome si trattava di un passaggio spesso doloroso, che poteva accelerare un processo di isolamento o di declino. Da qui l’idea di sperimentare una forma abitativa nuova, a metà tra la casa e il servizio. Abbiamo adattato un immobile inizialmente pensato per un centro diurno e avviato il cohousing. Il risultato è stato sorprendente: quando si creano contesti che stimolano, proteggono e danno spazio, le persone mantengono le proprie capacità residue, si attivano, si aprono. Basta un compito, un obiettivo, una piccola responsabilità, e qualcosa si riaccende.
Come si è sviluppato nel tempo il progetto promosso da SAD?
Dopo l’avvio della prima esperienza, abbiamo scelto di ampliare il modello. Sono nate due nuove realtà a Tassullo e Cles, pensate esclusivamente per anziani autosufficienti. In questi contesti, non era logisticamente adatto coinvolgere studenti, ma i principi sono rimasti gli stessi: relazione, autonomia, prevenzione della fragilità, accompagnamento leggero. Un passaggio fondamentale è arrivato nel 2017, con l’acquisizione da parte della Cooperativa SAD del compendio di Villa Santissima, a Trento, in località San Rocco. Lì abbiamo realizzato un sistema abitativo articolato: due cohousing per anziani — la Residenza Antica, più raccolta, e la Residenza Moderna, più ampia e strutturata — e una residenza adiacente per 30 giovani lavoratori e studenti. La vicinanza fisica e la condivisione di alcuni spazi — come il giardino — favoriscono forme spontanee di prossimità relazionale, anche senza convivenza forzata. È un equilibrio delicato ma molto generativo.

(Foto: Cooperativa SAD – Trento)
Nel 2015 siete stati riconosciuti tra le migliori pratiche europee dall’UNECE. Cosa ha rappresentato questo traguardo?
Il riconoscimento dell’UNECE – Commissione Economica delle Nazioni Unite per l’Europa – ha avuto un grande valore per noi. Siamo stati inseriti tra le “Best Practices in Ageing”, selezionate a livello europeo per la loro capacità di proporre modelli innovativi nel campo della longevità attiva e dell’abitare sociale. Nel report ufficiale si legge:
“This family-like setting makes the costs of assistance and daily life more sustainable for older persons and fosters their social integration by providing the setting for intra‑ and inter‑generational exchange.”
Tradotto: il nostro modello, grazie a un’impostazione di tipo familiare, riduce i costi e rafforza l’integrazione sociale, offrendo spazi di scambio tra pari e tra generazioni diverse. Questo riconoscimento ha dato forza al nostro lavoro, ci ha aiutato ad accedere a reti internazionali e ci ha motivati ad ampliare e affinare ulteriormente il modello. È stato uno stimolo concreto e strategico per il proseguimento del percorso.

(Foto: generata con intelligenza artificiale a fini illustrativi)
Com’è strutturato oggi il vostro modello e quale capacità offre?
Oggi gestiamo 45 posti riservati a persone autosufficienti o parzialmente autosufficienti, distribuiti su quattro residenze di cohousing per anziani. La Residenza O’Santissima a Trento offre complessivamente 33 posti, suddivisi tra l’Antica Dimora, ospitata in una villa seicentesca con 9 posti, e La Moderna, un edificio contemporaneo ricostruito secondo i criteri Nearly Zero Energy Building, con 24 posti. Completano l’offerta Casa Tassullo a Ville d’Anaunia (5 posti) e Casa Cles a Cles (7 posti). Accanto a queste strutture, la Residenza Parco Garbari mette a disposizione 30 alloggi per giovani lavoratori e studenti: spazi autonomi, ma integrati con il cohousing, capaci di generare vicinanza e forme leggere di scambio.
Tutte le strutture sono accreditate dalla Provincia Autonoma di Trento, ma la gestione è interamente in forma privata. Il nostro approccio è centrato sulla qualità dell’abitare, l’equilibrio tra autonomia e accompagnamento, e la costruzione di comunità. Offriamo molto più di una sistemazione: offriamo un contesto abitativo vivo, con attività quotidiane, animazione, educazione, relazioni, cura. Una vera alternativa alla solitudine e alla frammentazione.

(Foto: Cooperativa SAD – Trento)
Le propongo un paradigma che riassume quanto emerso in questa intervista: il vostro modello sembra dare “vita agli anni”, e non semplicemente “anni alla vita”. Si riconosce in questa lettura?
Assolutamente sì, mi riconosco profondamente in questa interpretazione. È ciò che cerchiamo di fare ogni giorno. Non vogliamo solo che le persone vivano più a lungo: vogliamo che vivano meglio, con senso, con relazioni, con dignità. Nei nostri cohousing, gli anziani non sono pazienti né utenti passivi, ma abitanti attivi di una comunità che li riconosce, li valorizza e li accompagna. Dare vita agli anni vuol dire restituire alla persona la possibilità di scegliere, partecipare, contribuire. E questo lo vediamo nei piccoli gesti: una signora che si rimette a cucinare, un anziano che partecipa al torneo di carte, qualcuno che va a trovare un vicino per farsi compagnia. Tutti questi gesti, se accadono in un luogo che protegge senza opprimere, generano benessere profondo. È così che intendiamo l’invecchiamento attivo: non come slogan, ma come esperienza quotidiana e reale.

(Foto: Cooperativa SAD – Trento)
NOTA METODOLOGICA
Le trasformazioni in atto – demografiche, sociali, culturali ed economiche – stanno modificando in profondità non solo la composizione della popolazione, ma anche i modi di abitare, lavorare, studiare e costruire legami. Di fronte a questi cambiamenti, la sfida è insieme demografica e antropologica, e richiede di ripensare i significati dell’abitare e della convivenza. In questo contesto, il cohousing si configura come una risposta innovativa, capace di superare i modelli abitativi tradizionali per promuovere forme di vicinanza e autonomia, valorizzando il tempo condiviso, la dimensione relazionale e la responsabilità reciproca. Non si tratta di moltiplicare i servizi, ma di abilitare nuove pratiche di vita fondate sulla prossimità e sulla coabitazione consapevole.
In questo contesto, la co-economia, ovvero l’economia del “noi”, offre una chiave strategica per interpretare e guidare il cambiamento. Essa valorizza la dimensione relazionale e collaborativa del welfare, attivando risorse sociali e meccanismi di reciprocità all’interno di modelli abitativi innovativi.

(Foto: Cooperativa SAD – Trento)
Il cohousing si configura così come una delle frontiere più promettenti del welfare territoriale. Non è solo una nuova modalità dell’abitare, ma un modello in cui spazio fisico e qualità delle relazioni si intrecciano per generare contesti solidali, accessibili e inclusivi. Funzioni, servizi e tempo vengono condivisi; si riducono i costi individuali e si rafforza il capitale sociale. La casa diventa spazio comune, presidio di prossimità e luogo di cura reciproca. È l’economia della saturazione che si realizza nella densità delle relazioni.
La matrice che segue propone una classificazione delle principali tipologie di cohousing, costruita incrociando tre categorie di destinatari – anziani, giovani e lavoratori – con quattro dimensioni chiave: la forma abitativa prevalente, il livello di intensità relazionale, la logica di coabitazione (collaborativa, intergenerazionale, abitativa o funzionale) e gli obiettivi sociali prioritari (qualità della vita, contenimento dei costi, autonomia personale). Per i giovani, l’autonomia include anche il sostegno allo studio e alla formazione.
Emergono così configurazioni diverse e adattabili, accomunate dalla volontà di superare la separazione tra spazio privato e pubblico, tra solitudine e anonimato urbano, per dare forma a nuovi modelli abitativi fondati sulla prossimità, la reciprocità e il benessere condiviso.
Tipologie di cohousing
| Anziani | Giovani | Lavoratori | |
| Anziani | Cohousing tra anziani (alta intensità relazionale – logica collaborativa). Obiettivo: qualità della vita, autonomia personale | Cohousing intergenerazionale (media intensità relazionale – logica intergenerazionale). Obiettivo: qualità della vita, contenimento dei costi, autonomia personale | Cohousing intergenerazionale (media intensità relazionale – logica funzionale). Obiettivo: contenimento dei costi, qualità della vita |
| Giovani | Cohousing giovanile (media intensità relazionale – logica comunitaria). Obiettivo: autonomia personale, contenimento dei costi, supporto allo studio | Cohousing abitativo (media intensità relazionale – logica abitativa flessibile). Obiettivo: autonomia personale, contenimento dei costi, prosecuzione degli studi | |
| Lavoratori | Cohousing lavorativo (bassa intensità relazionale – logica funzionale/aziendale). Obiettivo: autonomia personale, contenimento dei costi |
Tra queste, una delle forme più emblematiche è rappresentata dal cohousing tra anziani, corrispondente al primo quadrante della matrice: una convivenza ad alta intensità relazionale, fondata su una logica collaborativa.
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