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venerdì 5 Dicembre 2025,

Nove vengono guariti, uno solo è anche salvato

Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!» (Luca 17,17-19). (immagine da facebook Vatican news)

Il lebbroso, samaritano, non prosegue più la strada per andare dai sacerdoti, ma torna da Gesù, glorificando Dio, perché ha compreso che non al tempio, ma in Gesù c’è la presenza di Dio e che da lui può ricevere non solo la guarigione, ma la salvezza. Gesù infatti gli dice: «La tua fede ti ha salvato», non solo guarito! Gesù stesso poi constata, con una serie di domande: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?».

Egli è deluso non perché gli altri non sono tornati a ringraziarlo, ma perché il loro cammino di fede si è arrestato alla guarigione, senza accogliere la salvezza, cioè la grazia del Signore: costoro sono guariti ma non salvati.

Non sembri oziosa questa differenza: guarire nel corpo è certamente una vittoria della vita sulla malattia e sulla morte, e Dio se ne rallegra, ma questo non significa entrare nella salvezza che è guarigione, restituzione all’integrità di tutta la persona, nella sua unità di corpo, mente e spirito.

Noi cristiani dovremmo essere molto attenti e vigilanti di fronte a guarigioni e miracoli: questi avvengono, a dire il vero anche in contesti non cristiani, ma non sono le guarigioni e i miracoli che danno la salvezza, che rendono i malati figli del Regno e quindi discepoli di Gesù. La guarigione fisica non significa e non coincide con la guarigione totale, integrale, quella della vita più intima, la vita spirituale che ciascuno di noi, con più o meno consapevolezza, vive.

Certamente il ringraziamento, espressione di gratitudine, che si mostra solo in uno dei lebbrosi guariti, ci rivela la nostra comune ingratitudine. È infatti grato chi spegne il proprio narcisismo, chi sa riconoscere che il bene viene dagli altri, chi ha memoria di essere stato oggetto dello sguardo amorevole di un altro. Anche questa volta chi accede allo spazio dei figli del Regno è uno straniero, un samaritano, uno fuori dal popolo di Dio, dal recinto ortodosso.

In questo racconto Gesù demolisce molte certezze di noi cristiani asserragliati in chiese o comunità. Fuori, fuori, anche fuori c’è un operare di Cristo Signore che a volte trova più ricezione di quanta ne abbia tra noi che ci sentiamo dentro. Dio non si lascia conoscere solo nelle istituzioni ecclesiastiche o cultuali, ma si fa conoscere soprattutto in Gesù: grazie a lui, attraverso di lui solo si rende gloria a Dio.

Soprattutto oggi molti cristiani sono sedotti dalla dimensione terapeutica che la fede può contenere e da essa sono attratti, ma non accedono a una comunione con il Signore nel ringraziamento e nella confessione della lode, accontentandosi del risultato che si può sintetizzare così: “stare bene con se stessi”. In questo caso anche la terapia e la guarigione appaiono come opera propria e non lasciano posto al primato della grazia, dell’amore efficace di Dio che ci raggiunge per salvarci interamente. Ma chi non giunge ringraziare il Signore non riconosce neppure i doni ricevuti e il suo cammino di guarigione non è di salvezza integrale. La sua vita non è salvata!

«Permesso, grazie, prego». Sono le tre parole chiave per custodire la famiglia che ci insegnò Papa Francesco, ma ancor prima di lui la sapienza popolare. Sono parole da insegnare ai bambini, da far ripetere fino allo sfinimento. Come si dice? Grazie! Soprattutto questa parola dovrebbe far parte del vocabolario comune non solo dei bambini ma di tutti gli uomini di età, razza e religione.

Giulio Antoniol

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1 commento

  • Il parroco, interrogando i ragazzini convenuti in chiesa per la messa di apertura del catechismo, ha chiesto loro: “Chi vi ha insegnato a dire Grazie?” Risposta: “La maestra a scuola!”. L’educazione non passa più attraverso i genitori forse perché essi per primi mai si dicono reciprocamente grazie.

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