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venerdì 5 Dicembre 2025,

«Volgeranno gli occhi a colui che hanno trafitto»

«Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo».

La liturgia di questa domenica accoglie la memoria dell’Esaltazione della santa Croce. Il 14 settembre del 335 – quasi mille e settecento anni fa – una folla numerosa di fedeli si raccolse a Gerusalemme per la celebrazione della dedicazione della Basilica del Santo Sepolcro restaurata da Costantino; e in quella occasione si ricordò anche il ritrovamento del legno della santa Croce. Da quel giorno, a Gerusalemme, viene celebrata ogni anno questa memoria.

Il libro dei Numeri ci ricorda la vicenda accorsa ad Israele mentre era nel deserto quando molti morirono per il morso di serpenti velenosi. In tale narrazione possiamo vedere la situazione di quanti che ancora oggi sono morsi dalla piaga di innumerevoli «serpenti velenosi». Se ne aggirano molti anche nel nostro mondo, magari nascondendosi nelle sembianze di uomini o di istituzioni. L’elenco sarebbe davvero lungo: basti pensare alla fame e alla sete; ai conflitti e alle guerre che non cessano di inquietare il mondo.

Mosè, ispirato da Dio, innalzò per quel popolo un serpente di bronzo: chi lo avrebbe guardato non sarebbe morto. Tutto ciò Mosè lo fece in figura; il suo gesto era una prefigurazione della croce. L’evangelista Giovanni lo scrive esplicitamente: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo», e più avanti, quasi a ricalcare la scena biblica, aggiunge: «Volgeranno gli occhi a colui che hanno trafitto».

C’è bisogno ancora oggi di esaltare la Croce: a tutti la croce parla solo di amore e di perdono. Don Tonino Bello diceva che la croce pende dai nostri colli ma non sulle nostre scelte. Orecchini, collane, tatuaggi: oggi la croce appare in tanti modi ma è svuotata dal senso più profondo: l’amore di Dio per noi e la gravità del nostro peccato. Purtroppo, c’è da dire che l’abitudine all’immagine della croce può aver fatto perdere quel senso di crudeltà che essa rappresentava: non si pensa più che la croce era tra gli strumenti di supplizio più duri e crudeli. Ma se ne perdiamo il senso di crudeltà e di supplizio non ne comprendiamo più neppure la santità.

Com’è possibile, del resto, afferrare la santità della Croce se non si comprende l’amore che essa manifesta? La Chiesa con la festa dell’esaltazione della Santa Croce vuole mostrare a tutti l’indicibile amore di Gesù per gli uomini e per ciascuno di noi.

La Croce è il momento in cui morte e vita si scontrano per l’ultima, definitiva battaglia. Essa si combatte nel corpo stesso di Gesù. Un dramma di cui riusciamo a cogliere forse solo qualche scheggia quando udiamo Gesù rivolgere al Padre le drammatiche parole del salmo: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Ma subito, come a mostrare il verso della vittoria, Gesù termina la sua vita dicendo al Padre: «Nelle tue mani affido il mio spirito».

Morendo come è morto, Gesù ha mostrato la vittoria dell’amore. Se ne accorse il centurione il quale guardando come Gesù moriva, comprese che quell’uomo era davvero il Figlio di Dio. Quel militare romano, che non faceva neppure parte del popolo d’Israele, abituato alla durezza e alla crudeltà della violenza e delle uccisioni, vide in Gesù uno che amava gli altri più di se stesso, uno disposto a dare tutta la sua vita per gli altri, fino a perderla.

La festa di questo giorno invita tutti noi ad avere gli occhi di quel centurione perché anche noi li rivolgiamo alla croce e soprattutto a quel crocifisso; anche noi saremo toccati nel cuore e cambieremo la nostra vita.

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