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Sì, abbiamo un arsenale pieno di arabismi nell’italiano, anzi, ghe ne gavemo n arsenal, tocca dirlo in veneziano perché probabilmente sono stati i veneziani a introdurre nella Penisola la parola araba. In italiano arsenale indica il complesso dei cantieri delle navi da guerra ma anche la fabbrica d’armi ed esplosivi. E chi conosce Venezia sa quanto l’area delle officine navali dell’Arsenal sia ancora oggi molto vasta. A proposito dei luoghi di ricovero delle imbarcazioni, diciamolo subito: dalla stessa parola araba viene anche l’italiano darsena.

Apriamo il Dizionario del dialetto veneziano di Giuseppe Boerio, 1856, e andiamo a vedere Arsenàl: «s.m. Arsenale, una volta Arsanale ed anche Arzanà. Un arsenàl de roba, Arsenale per traslato, si dice di un luogo nelle case dove si ripongono le vecchie masserizie, o che non sono d’uso momentaneo». La parola arsenale compare nella letteratura italiana nel Cinquecento ma proprio la forma veneziana arzanà era già stata citata da Dante Alighieri (nella Commedia, Inferno XII, 7) e dall’Italia arsenale passò in Francia nel XIII secolo (arsenal). Entrata da Venezia, la parola nel Duecento venne addirittura latinizzata in arsanatus.
«Anche nell’arte del navigare e delle costruzioni navali i saraceni portarono all’Occidente la loro scaltrita esperienza», scrive Giovan Battista Pellegrini, «la terminologia marinaresca italiana ha risentito dei frequenti contatti dei nostri marinai, soprattutto pisani e genovesi, con i nemici musulmani, in un primo tempo dominatori del Mediterraneo». Arsenale è l’adattamento veneziano dell’arabo dar as-sina a, «casa del lavoro», «fabbrica».
In altre regioni d’Italia approdò la stessa parola araba e venne recepita nella forma terzanà (in Giovanni Villani) che corrisponde a Tarzanà noto nella toponomastica urbana antica di Palermo, più vicino a darsena. Il tipo arsenale, però, ebbe più fortuna e si impose la forma passata per Venezia.
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Molti studi sono stati pubblicati sulle parole che vengono dall’arabo e che compaiono nell’italiano e nei nostri dialetti. Ma il riferimento più importante (sul quale si basa anche questa nostra rubrica «Ma parlo arabo?») è costituito dai due volumi «Gli arabismi nelle lingue neolatine con speciale riguardo all’Italia», opera che porta la firma del glottologo agordino Giovan Battista Pellegrini. La pubblicò nel 1972 per Paideia Editrice Brescia, con una dedica: Alla memoria di mio padre dr. Valerio Pellegrini, nato a Lozzo di Cadore nel 1879 e morto a Cencenighe Agordino nel 1958. I Pellegrini erano una famiglia di farmacisti, originaria di Rocca Pietore, che per lavoro si spostò in Cadore per poi tornare in riva al Cordevole.
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